(Sanniopress) – Quando un giovane decide di togliersi la vita è sempre un’amara sconfitta. Per tutti. Soprattutto quando accade in un piccolo centro, dove ci si conosce tutti e ci si incrocia quasi quotidianamente. Il dramma ti avvolge, ti squarcia le viscere e finisce per incunearsi nei meandri più reconditi della mente perché ti interroghi su cosa avresti potuto fare (e non hai fatto) per evitare una simile tragedia.
Marco Di Meola, ventotto anni, questa mattina ha deciso di porre fine alla sua esistenza. Era dolce, intelligente e sensibile. Aveva il dono della scrittura. Una sorta di temporaneo e non definitivo antidoto al dolore.
Nel 2006 pubblicò il libro “Ora di aria” (edizioni Il Filo). Marina Paola Sambusseti nella prefazione scrisse: “Si ha l’impressione che l’autore si aggiri nel proprio presente con gli occhi spalancati e le orecchie tese, per cogliere ogni sfumatura, carpire la direzione degli sguardi di chi lo circonda, ritrovando, perfino nelle situazioni usuali, ordinarie, qualcosa di straordinario da raccontare”.
Poi approdò su internet, dove creò il sito “Fermo colle” (http://www.fermocolle.eu), contenente “testi in versi, qualche rigo, parole ritorte come le false produzioni della cute in cui – scriveva nella presentazione – spero riusciate a trovare schegge di bellezza. E, trovatele, le mostriate a chi, pur fabbricando appostatamente questi nei, fatica a scorgere grazia”.
Ma Marco non disdegnava nemmeno l’impegno sociale, come dimostra l’accorato intervento che inviò al nostro blog assieme ad alcuni amici lo scorso 25 aprile, “Lettera d’amore e rabbia da Cerreto Sannita (https://www.sanniopress.it/?p=23457).
A pagina 59 del libro “Ora di aria” scrisse: “La mia duratura riconoscenza a due giovani amici non valutati tanto nel passato, intendo quanto sono adesso. Perché? Mi hanno sostenuto nell’annus horribilis che sta andando a scadere. Mi hanno evitato una soluzione umida per una caduta da troglodita. La mia partenza deve essere schiaffo da dare non da prendere. Sempre pronta ad offrir la guancia, vita. Ah già, grazie ragazzi”.
Stavolta, però, nessuno è riuscito ad evitare la soluzione umida. E nemmeno lo schiaffo che, oltre al dolore (immenso), provoca tanta, infinita amarezza.