(Sanniopress) – Le porte del carcere si sono chiuse alle spalle del terzo figlio di Francesco Schiavone Sandokan. Il boss rinchiuso al 41 bis dal 1998 non ha mai ceduto un solo istante per salvare i suoi figli. Ieri, quando i carabinieri hanno portato via il prediletto di mamma Maria Pia, Ivanohe, lei, straziata dal dolore, ha urlato il nome del figlio che andava incontro al suo destino da predestinato.
Lei, definita dagli inquirenti il collante nel sodalizio, per la prima volta ha mostrato il volto di mamma. Tante sono le domande che vorremmo porle. Prima tra tutte questa: come mai ha permesso che i figli seguissero il destino del padre? E ancora: se un figlio sbaglia, non è dovere di un genitore indurlo alla ragione e, se il caso, allontanarlo dagli ambienti criminali? Perchè rendere “orfani” i nipoti come è successo in precedenza con i suoi figli?
Quale amore è superiore a quello di una madre per il proprio figlio? Siamo consapevoli che in un territorio come quello di Casal di Principe si è assistito al suicidio dello Stato, e che la criminalità organizzata ha fatto da scudo a politici collusi, ma perchè continuare a proteggere queste persone? Quale interesse è più grande dell’amore verso la propria famiglia? Non sarebbe stato meglio vivere di stenti ma poter tenere ogni sera i propri cari vicino e poterli abbracciare? Se un cuore di madre è così grande, con che cuore si può accettare che si arrivi a chiedere estorsioni – una delle accuse mosse ai suoi figli – anche a povera gente, che, soprattutto in un momento così difficile, cerca di sopravvivere con dignità, senza delinquere, e che, spinta dalla disperazione, arriva perfino a suicidarsi.
Suo marito Francesco sta pagando da quattordici anni, e mentre lui sconta il suo debito con la giustizia, non sarebbe stato più semplice per lei crescere i suoi sette ragazzi in modo diverso? E’ mai possibile che diverse forze di polizia che stanno indagando stiano tutti complottando contro la sua famiglia, come lei dice? Le madri sono da sempre il faro della famiglia, non sarebbe il caso che il suo dolore la illuminasse per aiutare i suoi figli a fare scelte diverse, anzichè proteggerli dietro inutili giustificazioni?
Il suo compagno ormai è in galera, e, come dice lui, “io il carcere me lo so fare”, ma quello che voglio chiedere a lei, in nome di quell’amore di madre e di nonna che ha, è questo: non sarebbe arrivato il momento di scrivere la parola fine a questa dinastia criminale?
Lei sola potrà cambiare le sorti della sua famiglia e quella dei suoi nipotini. Non è detto che il cognome degli Schiavone debba essere per forza ricordato come quello di una famiglia criminale. Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico.