(Sanniopress) – Caro JP, non avrei voluto rispondere alla tua prima sollecitazione, ma poiché mi richiami in causa mi pare atto dovuto. Invecchiando le idee mi si confondono. Non ho le baldanzose certezze degli anni in cui ci siamo conosciuti, e per certi versi invidio le tue certezze apodittiche.
Premetto che non sono in grado di formulare un giudizio complessivo sull’operato di Raffaele Del Vecchio, avendo vissuto cinque degli ultimi sei anni in una pressoché totale immersione familiare. Sarebbe, dunque, un giudizio fondato su opinioni altrui. Tu e Giancristiano, invece, avete un consolidato giudizio negativo. Non voglio assumere atteggiamenti pilateschi: semplicemente non ho elementi per un giudizio argomentato. Ci sono elementi pro (il riconoscimento Unisco su tutti) ed elementi contro (la mancanza di linee guida ben definite, la vicenda Dalisi, che pure poteva essere una bella intuizione).
Dallo scorso anno, ho iniziato a mettere il becco al di là delle mura domestiche, proprio su sollecitazione di Raffaele Del Vecchio, che mi chiese di curare una rassegna di poesia all’interno di un più vasto progetto finanziato dalla Regione. Lo feci a patto di non percepire alcun compenso per il mio incarico di “direzione artistica”, per motivi che poi dirò. Quindi, con una parte minima dei soldi del finanziamento, misi su quella che speravo potesse essere la prima edizione di “Poesia in forma di rosa” (che era omaggio a Pasolini ma anche un modo per ricollegarmi alla mia precedente esperienza de “la rosa necessaria”). Mi pare che ne sia uscita una manifestazione decorosa, con momenti alti (gli incontri conla Frabotta, con Frasca, con D’Elia, l’omaggio alla Bartolini Luongo, il corto dedicato a Sandro Pedicini). Dopo ci sono state le elezioni. Io, come sai, non solo non ho appoggiato la candidatura di Fausto Pepe, ma l’ho avversata, schierandomi con una piccola lista, testimoniale se vuoi, “Ora”, guidata da Antonio Medici. In campagna elettorale sono intervenuto spesso, motivando il mio dissenso tanto dalla scelta di Carmine Nardone (proprio in questi giorni riconosciuta sbagliata da lui stesso) tanto da quanti, a sinistra, avevano deciso di appoggiare di nuovo Pepe. Immagino che questo abbia inficiato qualunque possibilità di nuove collaborazioni con il Comune, avendo stravinto di nuovo quella coalizione. Dunque, la poesia in forma di rosa, ahimé, è sfiorita, pur avendo previsto e scritto che il direttore artistico cambiasse ogni anno, proprio immaginando una mia futura incompatibilità… Peccato! Una città che non tiene acceso, come il sacro fuoco delle Vestali, la fiammella della poesia si preclude tante possibilità sul piano spirituale e morale.
Perdona questa breve ricostruzione, ma era fondamentale per l’unica cosa che mi interessa dire nella nostra discussione. Il mio caso è emblematico di come cultura e politica siano difficilmente compatibili. Per dirla in soldoni: si ricevono incarichi o finanziamenti solo se si è organici ai poteri politici in quel momento egemoni. Io avevo voluto evitare equivoci nel momento in cui avevo accettato di dirigere “Poesia in forma di rosa” a titolo gratuito. Mettevo una competenza che mi veniva riconosciuta in un campo specifico (la poesia) al servizio della mia comunità. Non creavo un rapporto organico. Questo mi ha permesso, in assoluta libertà, pochi mesi dopo di poter criticare Pepe e i suoi uomini durante la campagna elettorale. Ma… Ma quanti hanno la mia stessa fortuna, di poter cioè liberamente donare tempo e lavoro perché non vivono di questo? Quanti, invece, devono drammaticamente accettare questo scambio indecoroso tra la propria autonomia e la propria professionalità? Pochi, tempo. Vedi, quando Pepe vinse le elezioni, sentii molte persone che teorizzarono quello che accade nel campo dello spettacolo, dell’arte e della cultura in città: una sorta di spoil system, per cui il vincitore prendeva tutto e “guai ai vinti”, a meno che non fossero saltati anche loro sul carro dei vincitori… (e protestai aspramente in circostanze pubbliche, ad esempio, per la cancellazione di “CantarPasqua”).
Non voglio tirarla per lunghe. Condivido molte delle cose scritte da Giancristiano, sono scettico sulla proposta di Rito Martignetti degli Stati Generali della Cultura (nel presente contesto), perché ci sono troppe persone che non sono “libere”, vivendo di questo e dovendo soggiacere “obtorto collo” allo scambio di cui abbiamo detto. Credo che il vero, drammatico nodo della questione sia come si sceglie colui che ricopre il delicato ruolo di Assessore, in questo caso alla Cultura. Non solo, ovviamente, a Benevento ma ovunque accade che la logica sia meramente politica, ovvero affidata al numero dei voti e al peso elettorale nella coalizione. In rarissimi casi opera un criterio di competenza. Raffaele Del Vecchio, per quel poco che ho potuto conoscerlo, è persona capace di riconoscere i propri limiti, ma proprio questo è il punto. Come si può decidere la politica culturale di una città senza una “cultura” (non specialistica, evidentemente, ma ampia e curiosa) che funga da guida per le scelte? Ci si affida a tecnici, spesso eccellenti? Può essere e talvolta funziona, ma altre volte non funziona, perché ciò che servirebbe è uno sguardo ampio che i c.d. tecnici spesso non hanno. Tu evochi Nazzareno Orlando perché vedi in lui non solo una maggiore apertura (ed è vero, ma era tipica della destra viespoliana, a partire proprio dal leader della corrente) ma anche perché aveva delle competenze in alcuni ambiti e una curiosità intellettuale che tutti gli abbiamo riconosciuto.
Chiudo riassumendoti la mia posizione attuale. Le mie future azioni, come quella portata avanti con Giancristiano e Amerigo Ciervo (la LiberaScuoladi Filosofia del Sannio) nasceranno in totale autonomia dal potere politico. Se andrà avanti lo farà sostanzialmente per volontà di chi vi parteciperà. Il mio auspicio è che il prossimo assessore alla cultura, chiunque egli sia, venga scelto in base a delle competenze in un ramo che è sempre stato nevralgico per Benevento ma che lo sta diventando sempre di più. Provo a pormi una domanda da fantascienza. Se io divenissi assessore, come agirei? Rispondo:
1) farei un’analisi dell’esistente e porterei avanti le cose che reputassi di valore (quindi, per principio, no ad ogni forma di spoil system);
2) riunirei immediatamente gli Stati Generali della Cultura (sul modello proposto da Martignetti) per far emergere proposte e costruire una sorta di “organo” rappresentativo del mondo artistico, culturale e dello spettacolo sannita, consultabile in maniera permanente;
3) favorirei l’associazionismo ed ogni forma di creatività emergente, mettendo a disposizione non tanto soldi quanto strutture e strumenti di lavoro;
4) farei delle scelte in linea con la mia peculiare lettura della città e dei suoi bisogni.
Quindi cercherei di coniugare, in qualche modo, ciò che si eredita con un progetto nuovo, le spinte “dal basso” e la necessaria funzione di “guida” che un politico deve saper esercitare, accollandosene l’onere, con annesso il rischio dell’errore.
Un caro saluto, infine, a te, che mi hai costretto ad intervenire.
Nicola Sguera