(Sanniopress) – C’erano quasi tutti al congresso provinciale del Pdl, tranne uno. Chi? Il Sannio. Non una parola è stata detta sul Sannio, sulle sue condizioni economiche e sociali, sul sistema sanitario, sull’occupazione e sulla disoccupazione, sulla manifattura e sul sommerso, sugli accorpamenti scolastici, sul tema dell’innovazione, sull’università, la ricerca e le aziende, sulla cultura e il turismo. Niente. Zero. Ancor meno. Perché? Perché la rappresentanza politica sannita è priva di rappresentazione del Sannio. Per un sannita comune, che ha lavoro e famiglia e bada all’economia domestica e a dare il buon esempio ai figli, la cosa non è grave. Ma per un politico, che magari ha anche ambizioni istituzionali, sì. Per intenderci: è come se un meccanico non sapesse come funziona il motore o come se il dentista non sapesse individuare la carie o come se il giornalista non sapesse mettere giù un pezzo o non sapesse individuare una notiziola. In questo caso la notiziola è questa: il Pdl è il secondo partito inutile del Sannio (il primo, perché è al potere, è il Pd).
Vi posso perfino fornire la prova del nove. Eccola: arriva Caldoro e, come si fa in questi casi, applausi, baci e abbracci. Dopo di che ecco che parte la processione dei questuanti. Un po’ tutti hanno qualcosa da chiedere o da dare al presidente della Regione Campania: chi gli passa un biglietto, chi un foglietto, chi una cartella, chi un documento tanto che alla fine Stefano – come lo chiamano confidenzialmente i big e i bigodini della politica sannita – se ne va con un voluminoso dossier dei politici e degli amministratori del Pdl. Sono costoro la versione aggiornata e beneventana di quei rappresentanti della classe politica meridionale di un secolo fa che Francesco Saverio Nitti chiamava i “qualchecosisti” ossia quelli che chiedono sempre qualche cosa. Mai che ci sia un’idea da discutere, un progetto da suggerire, un investimento da sottoporre. Niente. Zero. Ancor meno. Pensate che un consigliere regionale rivolgendosi a Caldoro gli ha persino detto di liberarlo dai dirigenti che ci sono perché sono bassoliniani e lui non può lavorare perché non si fida. Dunque? Bisogna cacciarli e metterne altri di diversa fede e diverso vassallaggio.
Ma allora di cosa si è parlato in questo congresso? Dell’unità. La parola è stata detta e ridetta come un mantra: “Unità, unità, unità, c’è bisogno di unità, la politica nuova si fa con l’unità, dobbiamo unirci per sconfiggere l’antipolitica”. Sì, domani. Si devono unire per non perdere le elezioni. Ma più parlavano di unità e più emergevano le divisioni. Volete sapere cosa significa unità? Significa che il Pdl così com’è, da solo non ce la fa. Se ce la facesse non parlerebbe di unità bensì del 51 per cento di cui parlava tempo fa Silvio Berlusconi. Altri tempi. Tempi in cui dal Pdl si era cacciati a pedate, mentre oggi si fa campagna acquisti. Oggi per raggiungere il 51 per cento ci vorrebbe un altro partito del 30 per cento visto che il Pdl nei sondaggi scende e continua a scendere. Unità significa che il Pdl non è più il partito che sta al centro e fa sistema ma, al contrario, che al centro ci sono le alleanze e il Pdl fa la corte all’Udc ma Casini non ha alcuna intenzione di allearsi prima del tempo e nel frattempo il Pdl, che è solo uno dei partiti che sostengono il governo Monti e non si può permettere di farlo cadere, non sa che pesci pigliare.
Ci si sarebbe aspettato, da un partito che fino a qualche mese fa era al governo, almeno un concetto, anche piccolo piccolo, un concettino, sul governo Monti. Niente. Zero. Ancor meno. Se la rappresentanza non ha una rappresentazione del Sannio, come volete che abbia una rappresentazione dell’Italia? Sul governo Monti avrebbero dovuto dire che ci ha tirato fuori dai guai nei quali il governo Berlusconi – che era un po’ la sintesi di tutta la Seconda repubblica – ci aveva portati alla maniera di Francesco Schettino. Ma se non hanno detto nulla sul governo Monti e sull’Europa, non potevano almeno dire qualcosa sulle riforme istituzionali e in particolare sulla Provincia? Macché. Niente. Zero. Ancor meno.
Mi direte. Vabbè, ma tu sei cattivo, parli per partito preso. Ma va là, quale cattiveria e quale partito preso. E’ una banale questione di cronaca: i politici non parlano più di politica. Per due motivi: primo perché la tecnologia si è mangiata una gran fetta della capacità d’azione degli uomini politici (e non solo politici: Caldoro ha passato tutto il tempo con la testa nel suo i-Pad); secondo perché la politica nazionale è sempre più priva di sovranità. La stessa espressione “congresso di partito” è anacronistica. Dunque? Dunque, o in un congresso provinciale si parla con cognizione di causa di amministrazione, di tasse locali, di spesa e risultati, malati e posti letto e posti di lavoro o la cosa più utile e sincera da fare è quella di dire ai vecchi e ai nuovi di spostarsi che qui si ha altro per la testa e dobbiamo seriamente lavorare.