(Sanniopress) – Sul “caso Colasannio” credo d’avere qualche titolo per dire qualcosa. Mettiamola così: vi racconterò la storiella di come un quotidiano chiamato Il Sannio divenne nel tempo un foglio di propaganda chiamato Colasannio. Prima, però, va detto che in redazione tuttora lavorano persone e giornalisti di tutto rispetto. Fin dal giorno della sua nascita, “il primo quotidiano di Benevento” è stato una scuola di formazione giornalistica, nel modo in cui funziona una scuola del genere, cioè in maniera un po’ selvaggia e garibaldina. Da lì sono usciti giornalisti che hanno fatto carriera, che sono approdati ad altre redazioni, che hanno fondato anche altri giornali o che hanno dissipato il loro talento. Invece, altri giornalisti, anche con una loro storia alle spalle, hanno scelto di restare, forse perché legati a Benevento o per ragioni familiari o perché sono cavoli loro, e hanno continuato un’avventura che ha attraversato almeno quattro fasi.
La prima fase è quella della fondazione che si deve indubbiamente a Luca Colasanto. Perché? Per quel motivo marxista che consisteva nella proprietà dei mezzi di produzione. Hai detto niente. Senza questo piccolo particolare non si sarebbe potuto fare alcun giornale e i quotidiani che non hanno una loro tipografia, come ricordava Indro Montanelli nel suo editoriale di ringraziamento ai lettori de La Voce proprio quando il cavalier Colasanto staccava la spina al maggior giornalista italiano del Novecento, può capitare che si trovino in brutte acque. Questo problemuccio Il Sannio non l’ha mai avuto perché il suo fondatore era il suo stampatore. Il giornale vero e proprio, però, non era fatto dallo stampatore ma da una banda di matti che in origine fu guidata da Gianluigi Guarino. Al principio nessuno ci capiva granché: il lavoro da fare era tanto e tante erano le pagine da riempire mentre il metodo di lavoro e scrittura era tutto da inventare e collaudare. Con il tempo e con gli errori, come avviene in ogni esperienza umana, le cose si aggiustarono e Guarino, che non era nato direttore, imparò a fare il direttore – il capobanda, perché forse più matto dei matti – e Il Sannio prese a camminare. In quel tempo Il Sannio aveva come suo punto di forza soprattutto la cronaca e una foliazione che aumentava soprattutto nel fine settimana per dare ai sanniti di tutti i comuni un’informazione capillare. La politica aveva il suo spazio e, anzi, come ha detto di recente proprio Guarino sul suo Casertace.net “io e Giancristiano terremotammo il mastellismo”. Sì, fu esattamente quello che facemmo e che non si poteva non fare perché era l’unica cosa da fare. Lo sforzo era gravoso per tutti e nessuno godeva di un contratto. Tutto avveniva alla buona. C’era chi prendeva 1000, chi 100, chi 10 a seconda dei gradi, anche questi attribuiti alla buona. Guarino divenne nel tempo quello che si usa chiamare un buon “uomo macchina”: lavorava molto e pedalava e avrebbe voluto che la banda di matti fosse sempre al livello del suo pedale. Ma non era possibile, non perché i matti fossero scarsi ma perché avevano gradi diversi e quindi meno soldi e si sentivano meno coinvolti nell’avventura. Il suo rapporto con lo stampatore si logorò e fu messo alla porta.
La seconda fase iniziò con la mia direzione. Fino a quel momento avevo lavorato alle pagine dei comuni e ai commenti e avevo anche rifiutato una prima proposta di assumere la direzione del giornale. La seconda volta accettai, anche perché la sorte di Guarino era ormai segnata. Non essendo un “uomo macchina” non potevo neanche pensare di fare il lavoraccio che faceva Gianluigi e, dopotutto, pensavo che quella strada andasse evitata consapevolmente per dare forma invece a un lavoro di redazione. Cercai di assecondare desideri e vocazioni, creai una pagina della cultura e una degli spettacoli, portai lo sport in prima pagina togliendolo dal suo ghetto, diedi più spazio alla politica, diedi più ordine alla prima pagina con un fondo quotidiano e a volte due. Soprattutto provai a dare spazio ad alcune individualità come Giacomo Ciriello, Teresa Ferragamo, Orazio Coletta, Francesco Saverio Intorcia ma anche a giornalisti già formati come Gianni Festa e lo stesso Franco Santo che invitai a scrivere in prima pagina soprattutto il lunedì. L’idea era quella di non fare de Il Sannio un giornale esclusivamente di cronaca in una provincia in cui di cronaca ce n’era poca, bensì un giornale di politica e di cultura e di analisi economica, insomma, un foglio di libera discussione per una provincia e una città che stavano pur cambiando e conoscendo una loro vivacità con la significativa esperienza di Viespoli al Comune e di Nardone alla Provincia. La cosa funzionò e la banda di matti, che pure al principio diceva e pensava – come è giusto che sia – “mo’ vediamo questo che è capace di fare”, divenne quasi una redazione il cui buon lavoro può essere riassunto con un ottimo articolo di Francesco Intorcia dedicato al Benevento e intitolato proprio così: “La forza della banda”. La cosa funzionò ma durò poco. Meno di un anno, dal principio alla fine del 1999. Ruppi con Colasanto sul contratto che mi promise ma non mi fece. Forse peccai di impazienza ma a trent’anni in questo mestiere si deve essere impazienti o non si cresce. Il contratto che non mi fece l’uomo che censurò Montanelli me lo fece il giornalista che prese il posto di Montanelli a il Giornale: Vittorio Feltri.
La terza fase iniziò con una direzione di cui non ricordo il nome e questo vuol dire pur qualcosa perché da questo momento Il Sannio entrò in una fase di anonimato. Molti dei giornalisti che avevano lavorato con me ed erano lì fin dal primo giorno andarono via. Il Sannio mutò pelle e divenne nuovamente un giornale di pura cronaca che, però, non poteva neanche contare sulla forza e le intuizioni di un “uomo macchina”. Ma questo tutto sommato allo stampatore interessava poco. Ciò che contava realmente era assicurato dalle rotative dello stabilimento di Vitulano: uscire ed essere in edicola per poter arrivare a maturare il diritto di incassare annualmente i soldi per l’editoria dalla presidenza del Consiglio dei ministri. In poco tempo lo stampatore di Baselice con l’idea fissa e sbagliata del Molisannio capì che poteva fare a meno di un direttore, cioè di una testa pensante, e giustamente immaginò che gli conveniva puntare solo su alcuni uomini di esperienza che confezionavano alla meno peggio la cronaca del giorno.
La quarta fase iniziò con la pace tra Colasanto, Forza Italia e i fratelli Martusciello. Fino ad allora Colasanto si era comportato con il partito di Berlusconi come la volpe che non arrivando all’uva dice che è acerba. In verità, il cavaliere diceva altro. Ma non conta come, del resto, non contò mai molto neanche durante le direzioni di Guarino e mia. Tutto ciò che si chiedeva era di dare spazio a tutti e di criticare il centro. Cosa che si faceva e si interpretava con buon senso anche perché il centrismo era messo fuori gioco dal bipolarismo. Con il coinvolgimento diretto di Colasanto in politica, però, le cose sono cambiate molto negli ultimi anni: se, infatti, prima si dava spazio a tutti, ora si dà spazio solo al partito berlusconiano. Ma siccome al miglioramento c’è un limite mentre al peggio non c’è mai fine, con la fine dei Martusciello e la nascita dell’ultima fase di Forza Italia in cui le veline e l’immagine diventano prioritarie rispetto alla realtà e ai fatti, ecco che anche a Benevento la politica si trasforma in fiction e pulp-fiction. Così Colasanto capisce che Il Sannio gli può tornare utile in politica stringendo alleanza con il nuovo corso del berlusconismo che in loco prende il volto di Nunzia De Girolamo: Il Sannio diventa Il Colasannio e da giornale si trasforma in propaganda.
Qui finisce la nostra storiella e inizia un caso politico che conoscono bene non solo gli avversari politici del Pdl ma anche gli stessi uomini e donne del Pdl che per un motivo o per un altro sono avversari di Colasanto e della De Girolamo o a loro invisi. Per chi ha occhi per vedere è chiaro che qui c’è anche il motivo della inferiorità numerica e politica dello stesso Pdl che, ironia della storia, è diventato proprio quel partito fantasma o partito di plastica che mandava in bestia Colasanto ai tempi della sua esclusione dalla politica berlusconiana. Qui finisce anche la storia giornalistica de Il Sannio che è a tutti gli effetti la storia di una grande occasione mancata.