di Billy Nuzzolillo
(Sanniopress) – Per contestualizzare le testimonianze raccolte a proposito delle misteriose trivellazioni petrolifere effettuate in località Parata di Cerreto Sannita alla fine degli anni Novanta ho deciso di fare un sopralluogo percorrendo il versante di Morcone, e cioè attraversando la strada che veniva utilizzata per far affluire i mezzi. Sono partito dall’imbocco, in pieno centro storico, “dove i camion spesso perdevano liquidi a causa della forte pendenza”. La strada, che nel tratto finale diventa stretta e tortuosa, ad un certo punto presenta ai lati una staccionata che delimita i confini territoriali tra Morcone e Cerreto. E’ davvero difficile pensare che questa strada, ridotta quasi a mulattiera, un tempo possa essere stata utilizzata per far transitare i mezzi pesanti delle imprese.
E subito mi torna alla mente la domanda rivoltami più volte da un architetto di Cerreto, che alla difesa e valorizzazione della zona ha dedicato molto impegno: “Perché utilizzarono una strada scomodissima, e per di più situata nel territorio di Morcone, e non quella molto più comoda che parte da Cerreto? Forse perché non volevano attirare l’attenzione degli abitanti di Cerreto?”.
L’area sottoposta a trivellazione è però particolarmente suggestiva, e così accantono momentaneamente la domanda. Accanto allo spiazzo dove avvennero le trivellazioni c’è infatti un laghetto molto bello. Attorno alla grossa piattaforma in cemento armato ci sono altre piccole piattaforme da cui fuoriescono i ganci in acciaio a cui erano ancorati i cavi dei tralicci.
Guardo, poi, la collina di fronte, dove all’epoca dei lavori si nascose un conoscente: “Ricordo – mi spiegò tempo addietro – che un amico di Morcone, che aveva lavorato a Milano, mi raccontò di aver notato il transito dei camion contenenti cisterne. Camion, a suo avviso, troppo simili a quelli che aveva visti al Nord per il trasporto di rifiuti speciali. Per questo, insospettiti, decidemmo di appostarci sulla collina sovrastante per vedere cosa realmente avvenisse nei pressi del pozzo. Purtroppo, la distanza non ci permise di capire granchè”.
Scattate le foto, raggiungo nuovamente la mia autovettura, anche perché il vento gelido non consente una sosta prolungata. Scendendo, mi fermo in prossimità del primo agglomerato di case. La persona che mi accompagna saluta calorosamente gli abitanti del posto, che nel frattempo sono allarmati dall’insolita presenza di “forestieri”.
Dice loro che sono un giornalista e che mi sto occupando della vicenda dei pozzi petroliferi. Nei loro occhi leggo una malcelata diffidenza. Ad alcuni loro, che al tempo delle trivellazioni hanno lavorato nel cantiere, chiedo notizia dei fantomatici camion che trasportavano liquidi.
“Trasportavano acqua. Serviva per miscelare la bentonite, che veniva utilizzata per le trivellazioni. A trasportarla era una ditta di Colle Sannita” mi spiegano. E perché di notte? “Al cantiere si lavorava h24. Quando noi della zona finivamo il nostro turno di manovalanza, i tecnici ed operai dell’impresa restavano lì a lavorare l’intera notte. C’erano dei turni”.
Ora, secondo uno studio sull’impiego di miscele bentonitiche nelle opere di perforazioni condotto da Roberto Passalacqua del Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica dell’Università di Genova, “la perforazione può essere supportata tramite la spinta idrostatica esercitata da una miscela di acqua e argilla bentonitica. Quando la miscela diviene significativamente contaminata da una consistente presenza di detriti è necessario sostituirla con bentonite fresca o quantomeno ricondizionata. A tale scopo è necessario predisporre in cantiere un impianto che permetta di vagliare e far decantare la miscela in ritorno dalla perforazione”. Funzione che in località Parata sembra venisse assolta proprio dal laghetto.
La spiegazione, che apparentemente dovrebbe fugare l’allarme sui camion che trasportavano i liquidi, in realtà desta un altro tipo di allarme perché la zona è ricca di sorgenti d’acqua. E, come si legge in una sentenza del Tar di Catania del 2008 che bloccò le trivellazioni petrolifere in Val di Noto, esiste il pericolo di inquinamento delle falde acquifere conseguenti le trivellazioni poiché per ottenere i fanghi con bentonite vengono spesso utilizzati dei chemicals (additivi) che penetrano nel sottosuolo…
A questo punto mi tornano alla mente anche altri episodi, riferitimi sempre dall’amico architetto: “Un pastore mi raccontò che il cantiere era talvolta vigilato da guardie armate, che invitavano i curiosi ad allontanarsi. Un altro, invece, di una Panda rossa speronata e precipitata in una scarpata, con il conducente ritrovato poi morto”.
Chissà cosa realmente accadde sui monti della Parata in quegli anni…
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