(Sanniopress) – Piove e invochiamo lo Stato. Frana la collina e invochiamo lo Stato. Nevica un po’ più del solito e invochiamo lo Stato. Ci fa male il premolare e invochiamo lo Stato. Per ogni cosa, seria o stupida, invochiamo lo Stato e lo Stato che già fa schifo di suo non ce la fa a stare dietro a tutte le emergenze che ricoprono come un cielo di dolore il Bel Paese. Le nevicate di questi giorni hanno interessato quasi tutta l’Italia e se anche gli italiani avessero avuto lo Stato più cazzuto del mondo, i loro bisogni e le loro difficoltà non avrebbero trovato lo Stato pronto a tutto per tutti. Vuoi vedere allora che i concreti responsabili delle situazioni di disagio per la neve non sono da individuarsi nello Stato, nella Protezione civile, nell’Enel, nella Provincia bensì nei Comuni?
C’è forse qualcuno che conosce il Fortore meglio dei fortorini? C’è qualcuno che conosce l’area del Taburno meglio degli amministratori di Torrecuso, Foglianise, Vitulano? C’è qualcuno che conosce le contrade e le frazioni di Benevento meglio dei beneventani e degli amministratori politici e tecnici di Palazzo Mosti? Il territorio è conosciuto al meglio dai suoi abitanti e dai loro rappresentanti. Eppure, quando piove, nevica, frana la terra ecco che ricomincia la litania del mancato intervento ordinario e straordinario di un non meglio identificato Stato sotto forma di ministero, protezione civile, azienda elettrica, inizia il ballo delle responsabilità altrui e mai delle proprie e, insomma, va in scena lo sport nazionale dello scaricabarile che prefigura la specialità della ricerca del colpevole che paghi le colpe di tutti.
Le nevicate di questi giorni non sono state uno scherzo. Tuttavia, sono sempre “nevicate invernali” che per quanto eccezionali pur rientrano nella fenomenologia invernale e nel novero delle probabilità. Già questo basterebbe per lasciar cadere la solita barbarica abitudine della ricerca dei colpevoli per prendere in seria considerazione la fragilità dell’Italia intera, da Nord a Sud, sia nelle città, sia nei borghi, sia in campagna e sui monti. Per quanto l’inverno sia rigido, resta il fatto che a Benevento e dintorni ha nevicato nella notte di giovedì ma arrivati a mercoledì le scuole della città e di molti paesi sono ancora chiuse. Insomma, basta una nevicata – una, non dieci – per mandare in tilt un intero sistema sociale. Questo è il punto vero e reale da sottolineare, non le singole emergenze: basta una “notte bianca” per mettere in crisi un intero sistema sociale. Allora, se le cose stanno così, non è lo Stato che non funziona – anche perché non si sa mai bene cosa intendere con questa parola-entità: Stato – ma noi e per essere più precisi i nostri Comuni.
La politica che in Italia meno si pratica è la prevenzione. I sindaci, gli assessori, i tecnici arrivano sempre a cose fatte: quando è venuta giù la collina, quando è venuta giù la scuola, quando è venuta giù la neve. A cose fatte si scopre che la collina era in dissesto idrogeologico, che la scuola aveva un abuso edilizio, che la neve ci ha messo del suo ma chi non ha potato gli alberi, chi non ha “salato” le strade, chi ha ricoperto il territorio di pale eoliche ma non ha lo straccio di un generatore di corrente in proprio ci ha messo qualcosa in più della neve: il malgoverno del territorio. Se avessimo uno straccio di buongoverno del territorio le emergenze sarebbero di meno e vissute meglio. Poi, si capisce, arriva il giorno della Grande Nevicata che crea disagi e problemi a non finire e ci fa sentire tutti un po’ meno sicuri, giacché l’idea della sicurezza totale va bene per la pubblicità delle automobili ma non per la vita che se è totalmente sicura si chiama morte e non vita. Ma proprio qui è il punto: fatta la dovuta prevenzione, messo in sicurezza il mettibile, informata la popolazione, il sistema sociale va avanti, non è stravolto, si affrontano i disagi per quello che sono, con dignità e senza quella rabbia e quella miseria sociale che senti circolare ora come un cane rabbioso pronto a saltare al collo del primo che passa. E’ la neve dei miserabili.
Il danno maggiore di queste calamità innaturali in cui la natura ci offre l’oggetto ma il soggetto è tutto nostro, è un incattivimento generale che resta nell’aria, è un malessere che si deposita nel fondo della coscienza della società italiana e dei suoi Comuni maldestri e lì cova un risentimento che ci rode il futuro, come il tarlo rode il legno, fino alla prossima “tragedia annunciata” in cui il malessere e il malgoverno si scornano e si riconoscono come se si guardassero allo specchio e si sputano in faccia per poi invocare lo Stato che, al contrario dell’agnello di Dio, non toglie i peccati del mondo.