(Sanniopress) – Nell’anno internazionale delle energie rinnovabili è giunto finalmente il tempo di fare chiarezza su tante distorsioni che si producono in Italia e che hanno ricadute spesso drammatiche su territori fragili e indifesi come la provincia di Benevento. Nella corsa, spesso disordinata, alla green economy bisognerebbe ricordare che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Troppe sono le anomalie che si stanno generando a causa di un ambientalismo spesso ipocrita e strabico.
Le energie rinnovabili sono senza alcun dubbio una scelta sacrosanta, ma un business a così alto rendimento ha fatto venire la bava alla bocca a molti. Gli enti locali, le associazioni ambientaliste e gli organi di informazione tendono a benedire qualunque azione condotta brandendo il vessillo della sostenibilità ambientale, della riduzione delle emissioni e via sciorinando.
In realtà non è sempre così. Il caso più eclatante nel nostro territorio è l’eolico. La zona del Fortore ha subito un’invasione intollerabile di pale che ne hanno deturpato inesorabilmente il profilo delle colline. Non tutti stanno a guardare, molte associazioni ambientaliste (in primis Italia Nostra) si battono per frenare questo fenomeno, denunciando il sacrificio della ruralità e del paesaggio sull’altare dell’impatto zero (che non è zero per niente!). Per fare due conti, nel Sannio c’è l’8% della produzione nazionale di eolico (200 MW su 2500): una follia pura. In alcuni comuni fortorini c’è la sensazione di vivere tra le sbarre, in uno scenario surreale di isolamento geografico e visivo dal resto del mondo. Per fortuna, c’è stato un forte rallentamento negli ultimi tempi e sono allo studio impianti eolici offshore, che consentono di sfruttare il vento del mare in contesti non invasivi.
Come gli aerogeneratori, anche il fotovoltaico ha vissuto applicazioni distorsive e dannose. Tanto è vero che il ministro all’Ambiente Clini, di concerto con il ministro alle politiche Agricole Catania, ha inserito nel decreto sulle liberalizzazioni (art. 65) un forte disincentivo per gli impianti a terra, incentivando quelli su strutture a servizio della produzione. Una novità dovuta al fenomeno incontrollato di impianti su terreni fertili, sorti ovunque senza badare alle conseguenze. I danni maggiori sono stati prodotti in Toscana e in Puglia, dove distese di pannelli a terra finiranno per inaridire tutto quello che resta in ombra. E nell’immediato il fenomeno stava alimentando una bolla speculativa sui fitti. È evidente che in una situazione del genere l’agricoltore, già vessato dalla crisi e dalle tasse, sia allettato dall’ipotesi di rinunciare a coltivare la terra godendo dei ricavi (magari ventennali) derivati dalla concessione a pale eoliche o a megaimpianti fotovoltaici. Se questi fenomeni non vengono governati, il rischio è mandare a farsi benedire tutti i bei discorsi sul made in Italy, la filiera corta, la qualità, lo slow food, la difesa della ruralità, il presidio del territorio, etc.
In Italia (dato 2010) le fonti rinnovabili coprono il 23% della nostra produzione elettrica, 70 terawattora su 300 complessivi, di cui oltre 40 prodotti dall’idroelettrico, quello delle grandi dighe, e meno di 30 dalle rinnovabili. Per adeguarsi agli obiettivi comunitari, le fonti pulite devono arrivare a una produzione di 98 terawattora nel 2020, il 29% dei consumi elettrici nazionali previsti in quel momento. Considerando che il vecchio idroelettrico non è più espandibile, tutta la crescita è affidata alle nuove fonti. La produzione di eolico, fotovoltaico e bioenergie dovrebbe quindi raddoppiare in meno di dieci anni. Ed è cosa buona e giusta, ma bisogna vigilare affinché la green economy sia davvero green.
(tratto da BeneComune)