(Sanniopress) – Se l’amministrazione è anonima, l’opposizione dovrebbe avere un nome e un cognome invece ne ha troppi: Carmine Nardone, Raffaele Tibaldi, Mario Pasquariello, Nazzareno Orlando eccetera eccetera. Proprio l’Orlando ho incontrato un po’ furioso ieri mattina in Piazza Roma. “Caro Nazzareno, da dove vieni e dove vai” gli ho chiesto a mo’ di personaggio platonico. E lui agitandomi sotto il naso un pò di fogli e indicandomi gli orsacchiotti e i cavallucci appesi su e giù per il corso Garibaldi: “Vado a consegnare un’interrogazione per sapere che cos’è questa roba, quanto è costata, quando è stata deliberata”.
“Fai bene – gli ho risposto – però anche voi dell’opposizione vi dovete decidere a fare un salto di qualità. Se chiedi ad un pepe qualsiasi, ad esempio a me, che cosa ne pensa di Pepe ti dirà che ormai il tempo del sindaco è tempo perso e che bisogna cambiar pagina. Insomma, fare l’opposizione inseguendoli sulle piccole cose che fanno è inutile per voi e pericoloso per la città che così in un solo colpo perde sia l’amministrazione sia una possibile sostituzione. Voi fate come Sisifo che rotolava rotolava rotolava la pietra in cima e poi rotolava rotolava rotolava la pietra a valle e quindi di nuovo la rotolava in cima e poi di nuovo a valle, in saecula saeculorum”.
“E allora – mi ha chiesto – che dovremmo fare?”.
“Finite di rotolare e rotolare e rotolare, fermatevi in cima e sfruttando la visuale guardate le cose come stanno. Ritornate ad avere un’idea di Benevento a partire dalla cultura e dalla produttività”. Così l’ho salutato promettendogli un “pezzo”. Eccolo.
Stiamo ai fatti. L’ultima cosa seria fatta dal Comune di Benevento è la liberazione del Corso dalle automobili. Dopo la prima amministrazione Pepe e la metà della seconda siamo ancora dove ci aveva lasciati Sandro D’Alessandro. Il dovere di Fausto Pepe era scritto nella storia cittadina degli ultimi anni: riprendere il “lavoro usato” e proseguirlo perché non solo così dice che si fa l’umiltà di chi sa cosa sia il lavoro concreto, ma perché l’idea di Benevento come città della cultura passa per la riconquista degli spazi urbani da parte dei cittadini, del commercio, delle giovani generazioni e delle più stagionate. Purtroppo, la sinistra di questa città – anche se Pepe è un democristiano di sinistra – ha come suo peccato originale: la presunzione. Ora, benedetti signori, il più presuntuoso di tutti è Pasquale Viespoli – che un po’ di presunzione se la può anche permettere – ma se andate ad esaminare la sua storia politica e amministrativa a Benevento vi renderete conto che ha fatto con avvedutezza la cosa più intelligente che potesse fare: ha ereditato l’opera di Pietrantonio e l’ha continuata e proseguita. Proprio così, santo iddio. Da dove volete che venga fuori “Benevento città della cultura” se non dal corso politico di Antonio Pietrantonio? Il suo avversario politico numero 1, quasi il suo nemico storico, ha avuto l’intelligenza di accogliere quanto di buono aveva fatto Pietrantonio e vi ha investito, come ha investito in Città Spettacolo e come ha investito nella riqualificazione urbana del centro storico – non solo di Benevento – e il risultato finale è la pedonalizzazione di corso Garibaldi. Ma è solo l’inizio. Anzi, doveva essere solo l’inizio, ma con l’inizio della stagione di Pepe c’è stata anche la fine. Ora, chi vuole amministrare Benevento seguendo una “strada” e non andando a casaccio, deve riportarsi sulla retta via che da Pietrantonio va a Viespoli e giunge a D’Alessandro in nome di “Benevento città della cultura”. In concreto significa che la riqualificazione urbana del centro storico va continuata e va continuata non solo negli edifici ma anche e soprattutto nelle attività commerciali, culturali, turistiche, di volontariato, religiose. Ma per farlo è imprescindibile avere un confronto continuo con chi nel centro storico ci vive, ci lavora, ci vuole vivere, ci vuole lavorare. Non si può pensare a “Benevento città della cultura” e contemporaneamente abbandonare il centro storico a se stesso come ha fatto l’amministrazione Pepe.
Tuttavia, la sola idea della cultura non basta. Il sogno di creare ricchezza e posti di lavoro puntando unicamente sulla cultura e sui servizi è appunto un sogno. Epoca post-industriale non significa epoca senza le industrie ma solo epoca che arriva dopo le industrie, ma le industrie occorrono. Non saranno forti, non saranno pesanti, non saranno numerosissime ma l’esigenza di tornare a produrre resta centrale. L’idea che tutti possano lavorare nell’informazione, nella cultura, nella comunicazione, nei servizi più che sbagliata è illusoria. Comunichiamo quanto vogliamo ma alla fine qualcosa nella comunicazione dobbiamo pur mettercelo. La città della cultura dovrebbe funzionare proprio così: uno spazio urbano di “buona vita” capace di mostrare sul piano ideale quanto Benevento è in grado di produrre sul piano materiale. Senza un rapporto più stretto con il mondo di chi produce – dunque, le esigenze, le esenzioni, i contratti, le riconversioni, gli investimenti, le assunzioni – non è possibile neanche immaginare di parlare ai beneventani di cosa si vuole fare. E’ questa l’idea di città su cui l’opposizione deve concentrarsi e parlare con una sola voce. Mi dicono che c’è un coordinamento: ebbene, fatelo funzionare, non date l’impressione di essere “un volgo disperso che nome non ha”. Concepite l’opposizione con la cultura di governo e se è il caso sfidate l’amministrazione esprimendole consenso là dove è possibile. Parlate alla città, non agli avversari.
Mi si dirà: come si fa con i partiti, le alleanze, il centrodestra latitante, il terzo polo e compagnia cantante? Qui la risposta è molto più semplice di quanto crediate: se credete ancora a tutte queste cose allora significa che credete ai cacicavalli appesi di cui parlava Labriola (molto simili in verità a quelli appesi sul corso Garibaldi). So di rivolgermi a persone che non sono mosse più da “astratti furori”: è arrivato il momento di mettere la città avanti e i partiti dietro perché nella vita giunti che si è ad un’età bisogna fare sul serio ossia essere seri. Il tempo della politica per slogan è finito, tanti già sono stati ridimensionati, altri lo saranno a breve. Non perché arrivi Barbablù, ma perché il tempo richiede un lavoro fatto seriamente. Quello che una volta si chiamava “quadro politico” è destinato a formarsi intorno ai problemi reali e chi è capace di individuarli e attraverso loro parlare alla città riuscirà anche a “fare politica”. Ponete fine all’opposizione del signor Sisifo o sarà il signor Sisifo a porre fine a voi.
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