(Sanniopress) – Lo ammetto con tutta la franchezza possibile: io non ho mai capito e mai capirò i beneventani. Quello che gli frulla per la testa, come ragionano, perchè agiscono in un certo modo e non in mille altri, io non l’ho capito e non potrò mai capirlo. Sono nato a Benevento quasi 23 anni fa e ho sempre vissuto qui. La maggior parte dei miei parenti e amici è di Benevento, residente ed originaria da più di una generazione. Sono io stesso irrimediabilmente beneventano nel sangue. Ma questa città e chi la abita io continuo a non comprenderli.
Parafrasando il grande (lui si schernirà, ma è così) Giancristiano Desiderio, Benevento è una città di banche, uffici, chiese e bar. Niente, all’apparenza, di più retrogrado, conservatore, ammuffito e inguaribilmente statico di così. I beneventani sono quelli che hanno il posto fisso, e quando pure non ce l’hanno ragionano e si comportano come se ce l’avessero. Sono davvero pochi gli imprenditori e commercianti di Benevento in grado di adattarsi alle esigenze del caso, alle necessità, ai tempi che cambiano. La staticità, la “lentezza”, il restare fermi sono lo status mentale costante e perdurante di ogni beneventano medio, e paradossalmente anche, per l’appunto, di chi dovrebbe essere dinamico per sopravvivere, come i commercianti e i liberi professionisti.
I beneventani sono quelli che si fanno scivolare addosso l’aumento esorbitante delle strisce blu in città, dei parcheggi a pagamento e della sosta vietata; sono quelli che si fanno “piacere” il dover pagare di più per posteggiare l’auto, ma allo stesso tempo non pretendono il servizio e non protestano contro l’imperversare incontrollato e “autorizzato” di parcheggiatori abusivi in ogni quartiere. Anzi, agli abusivi pagano volentieri il non dovuto.
I beneventani sono quelli che non hanno alzato un dito contro l’incremento ingiustificato della tassa sui rifiuti; ma sono pure quelli che, nonostante l’oggettivo miglioramento del servizio che ne è conseguito, continuano ad alimentare discariche abusive in ogni angolo della città, ormai non più soltanto in periferia e nelle contrade.
I beneventani sono quelli a cui piace tutto. E il contrario di tutto. L’hanno scorso sono piaciute le luminarie natalizie affittate dal Comune per la modica cifra di circa 190mila euro, quest’anno piace l’idea dell’assenza di luminarie per far posto al grande acquisto del Comune, con spesa di circa 120mila euro, del presepe “più bello del mondo”, che illuminerà una piazza soltanto.
I beneventani sono quelli che non cambierebbero mai città perchè amano l’Arco di Traiano, la chiesa di Santa Sofia, il Teatro Romano, ma se domandi loro informazioni storiche e culturali su questi monumenti non sanno rispondere un’acca.
I beneventani sono quelli che si lamentano e strepitano contro gli eccessi della movida giovanile in Centro Storico solo se abitano in zona; diversamente non sono fatti loro e neppure si curano di conoscere cosa accade a Piazza Piano di Corte e dintorni ogni sabato sera.
I beneventani sono quelli che se ne fregano altamente, tanto paparino gli compra una bella raccomandazione. E d’altra parte, la nutrita folla di politici sanniti è rimasta finora saldamente al comando proprio per questo: per garantire scorciatoie agli sciatti beneventani.
I beneventani sono quelli che badano alle facciate, alle apparenze, alle superfici. Dietro l’incanto può nascondersi di tutto, ma loro non ci badano. Anzi, hanno fatto sì che questo loro modo di ragionare si riverberasse in toto sul modo di essere stesso della città: bellissima nei luoghi “pubblici” e frequentati da tutti, brutta e arretrata dietro il palcoscenico. Ma tanto quello che conta è la sceneggiata quotidiana.
Riflettendo su questa città si potrebbero consumare le ore senza trovare mai un punto di non ritorno, un aggancio cui attaccarsi disperatamente per salvare qualche pezzettino di questo mondo e iniziare a costruire una rinascita civile e culturale. La speranza è sempre l’ultima a morire e per ultima morirà, ma nessuno nel frattempo mi impedisce di difendermi dai beneventani precisando, a chi mi domandasse da dove vengo, che io beneventano non lo sono. Al massimo sono “beneventese”, ma per cause di forza maggiore.