(Sanniopress) – L’abolizione delle giunte provinciali, la riduzione a dieci dei consiglieri e la trasformazione della presidenza della Provincia in mero organo di indirizzo e coordinamento tra i Comuni non è per la provincia benevantana una piccola novità. Il motivo appare abbastanza scontato: la vita sociale ed economica della nostra provincia campa non poco di politica, ma nel giro di meno di un anno dovrà forzosamente cambiare registro. Capisco il disorientamento e forse anche le (ingiustificate) proteste, ma invece di imprecare contro il destino cinico e baro e contro il professor Monti – il cui merito è di fare ciò che gli altri non hanno voluto fare – non sarebbe meglio capire cosa fare e, insomma, cominciare a organizzarsi subito senza perdere tempo?
Prima di tutto la fine ingloriosa della giunta provinciale e il ridimensionamento del consiglio influiranno per forza di cose sulla politica e i partiti. La Provincia ha funzionato fino ad oggi come una cartina geopolitica o, meglio, geopartitica del Sannio: percentuali, partiti più forti e più deboli, quanti sindaci a quale partito. Questo circo è destinato a finire o, almeno, ad essere ridotto in modo consistente. I partiti non avranno più molto interesse per la “cosa pubblica provinciale”. L’altra novità riguarda la fine della Provincia come centro di spesa: con la fine della giunta non ci saranno più capitoli di spesa, progetti da finanziare, insomma soldi da distribuire e magari far rientrare. E’ la fine di un mondo. Finisce in particolare la figura dell’assessore provinciale che, in fondo, non ha mai avuto gran motivo di esistere se non per le due funzioni che effettivamente sono state da sempre attribuite alle Province: strade e manutenzione scolastica (ma lo stato delle strade e le condizioni degli edifici scolastici è a tutti nota). Le giunte provinciali si sono occupate di cose innaturali che negli ultimi tempi sono state criticate dalle stesse giunte provinciali. Il caso di Art Sannio è emblematico (ma la stessa struttura del Marsec rientra in questa tipologie di interventi che con un ente provinciale non c’entrano proprio nulla). Quale sarà ora il destino di questa società interamente pubblica – ma sarebbe meglio dire interamente statale o ancor meglio interamente paraprovinciale – non lo sappiamo, ma recentemente abbiamo avanzato la proposta di mettere sul mercato l’azienda e a questo punto la nostra idea dovrebbe essere presa seriamente in considerazione.
La fine della giunta e nella sostanza la fine della Provincia come centro di spesa porterà irrimediabilmente il declino di questa istituzione amministrativa e politica. Ma non perché questo sia un declino necessario e ineluttabile, bensì perché la trasformazione dell’ente provinciale in un organismo di indirizzo politico e coordinamento istituzionale presuppone ciò che nella nostra comunità provinciale non c’è: la cultura di governo. Il presidente Cimitile ha ragione quando lamenta la soppressione di un’istituzione democratica e di autogoverno, ma ha torto se ci vuole far credere che la Provincia abbia mai svolto questa funzione di autogoverno. Soprattutto per il Mezzogiorno questo non è un problema ma il problema: l’autogoverno è stato sempre sostituito dalle richieste di finanziamenti, fondi, soldi. Questa stagione, signori, è finita. E’ il caso di sostituire anche la classe politica che finora ha menato il torrone. Forse, anche qui è arrivato il momento di sostituire i “politici” con i “tecnici”.
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