(Sanniopress) – Non credete ad Amerigo e Marcello Ciervo – iMusicalia, oggi premiati a Salerno nella decima edizione del premio internazionale “Giovi, città di Salerno” – quando vi dicono che iniziarono a suonare e cantare e recitare nella seconda metà degli anni Settanta con il collettivo, il partito, le feste dell’Unità e tutto quel mondo che non c’è più. I fratelli Ciervo sono animali da palcoscenico per motivi d’arte e non di politica, non perché appartengono alla storia della sinistra sannita, ma perché appartengono alla famiglia ‘e moscone che la musica portava nel sangue: il padre, Corrado, suonava la chitarra e con i figli in su le spalle seguiva le bande musicali che negli anni Sessanta del secolo scorso ancora giravano per paesi e campagne; zio Pasquale era un buon tenore e intonava bene le canzoni napoletane classiche; zia Rosa aveva un timbro di voce da mezzosoprano ma fece la sarta e non la cantante perché non si usava e quando Rino Maione, che insegnava storia della musica a San Pietro a Majella, le disse di studiare e affinare il canto, il padre di zia Rosa se ne uscì alla sua maniera: “Eh sì…’a ciuccia ‘e zia Bellònia a quarant’anni cacciaie ‘o trotto” ossia l’asino di zia Apollonia imparò a trottare tardi.
C’è poi la storia di zio Antonio, Antonio Ciervo, che fu autore di versi di molte canzoni napoletane nelle quali, se le ascoltate o leggete, sentirete qualcosa di Salvatore Di Giacomo. Una in particolare merita di essere ripresa – “Statte vicino a me” – perché arrivò terza al Festival di Napoli nel 1954 ed entrò nel repertorio di grandi interpreti della canzone napoletana: Roberto Murolo, tanto per fare un nome. La bella canzone, che forse è qualcosa in più di una canzone, fu cantata da Teddy Reno in quel film capolavoro che è “Totò, Peppino e la malafemmina”. La riporto di seguito perché leggendola potete apprezzare quanto dico:
‘O bbene, si è sincero,
è troppo amaro quanno se perde.
Primma ch’è troppo tarde
Te ll’aggi’ ‘a fa’ capì.
Statte vicino a me pe’ n’ata sera,
tu nun ‘o ppuò sape’ comme si’ cara.
Accarezzame comm’ ‘o cielo accarezza ‘a luna,
accarezzame comm’ ‘o mare accarezza ‘a rena,
famme addurmi.
Comme te ll’aggi’ ‘a dì: “Te voglio bene”.
Con questa storia familiare e musicale Amerigo e Marcello non potevano che suonare. Ma non hanno solo suonato. Questa è la particolarità dell’opera de iMusicalia. Da qualche parte Amerigo parla della loro esperienza musicale e di “ricerca sul campo” come di un laboratorio sempre aperto. Credo che sia la definizione migliore: perché la parola “laboratorio” ha in sé la parola lavoro e dà il senso della pratica, dell’uso, della consuetudine artigianale. Ma la parola ha dentro di sé anche un’altra parola che è “ora”: dunque, lavoro e preghiera. Sono le due dimensioni o attività umane che sono state maggiormente investigate dai Musicalia in tutto il loro viaggio musicale ed etnico. Un lavoro che non ha precedenti: naturalmente, non nel senso che sono stati i primi a fare ricerca musicale e del folklore sul campo ma nel senso, per noi più importante, che sono stati senz’altro i primi a indirizzare la ricerca nella terra del Sannio beneventano. Dalla ricerca è nata la loro musica e dalla musica è rifiorita la ricerca.
Non posso addentrarmi nella critica del repertorio musicale dei Musicalia perché mi perderei. Ciò che posso dire è che ciò che muove il cuore e il cervello dei Musicalia è l’amore per la musica e la storia popolare della musica, ossia della oralità (la parola oralità è legata più di quanto non si creda alla vita quotidiana e alla nostra stessa società). Amerigo e Marcello sono rispettivamente un professore di filosofia (e storia, ma sono la stessa cosa) e un medico. La musica, dunque, sembra qualcosa di superfluo, un di più. Eppure, quando si pensa ad Amerigo e Marcello Ciervo si pensa subito ai Musicalia: la musica, per loro, non è il superfluo ma il necessario. I temi scelti – il divino, il sacro, la fatica, il cibo, l’amore – sono temi “vitali” che riguardano, pur trasformati, la vita di ognuno di noi, se vi prestiamo un po’ orecchio.
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