(Sanniopress) – Caro Giancristiano, Sanniopress si sta rivelando un prezioso luogo di discussione libera, di cui non posso che ringraziare Billy e te.
Non ripeterò le cose scritte, con la consueta perizia da Amerigo Ciervo (il quale sta da anni lavorando ad un libro sulla scuola): in particolare sulla scarsa maturità della società civile italiana che rende poco praticabili le strade che tu indichi (se non dando per scontato una compiuta “americanizzazione” della società italiana con inaccettabili divari sociali).
Per comodità dividerò la mia risposta in punti.
1) OCCUPAZIONI: Amerigo ha già scritto come le nostre posizioni su questo tema siano diverse. Mentre lui è contrario a priori all’uso di questo strumento nelle proteste studentesche, io lo considero utile, al pari di altri, necessario in certi momenti, deleterio in altri. La settimana scorsa sono intervenuto proprio per spiegare perché in questo momento sarebbe stato controproducente occupare le scuole beneventane. Lo scorso anno partecipai attivamente alla prima settimana di occupazione, suggerendo di proseguire diversamente la protesta, inascoltato. I risultati per alcune scuole (Rummo, Guacci) furono disastrosi in termini di danni. Cerco sempre di argomentare le mie posizioni con i ragazzi. È spiazzante? Ma la realtà è complessa! Ciò che un giorno è farmaco, un altro può essere veleno.
2) SCUOLA PRIVATA: Mia figlia frequenta l’asilo in una scuola privata. Vorrei che vi proseguisse anche le elementari. È in contraddizione con le mie idee? No. Io sono ben felice che esistano scuole private, ma voglio che esse non gravino sulle spese statali. E, dunque, continuerò a battermi perché lo Stato non solo non tagli risorse (come hanno fatto Tremonti ela Gelmini) ma, anzi, investa, come nei paesi più avanzati, nel sistema formativo nazionale.
3) DIPLOMA: per i motivi che esponeva Amerigo Ciervo, abolire il valore legale del titolo di studio significherebbe consegnare i giovani ad un mondo dove vigerebbe, in Italia, non la legge del merito ma quella del denaro. Le famiglie facoltose si potrebbero permettere le scuole migliori. L’egualitarismo che contrasti è sì fonte di livellamento ma anche garanzia di crescita culturale (e sociale, per molti anni) per fasce di popolazione che altrimenti ne sarebbero state escluse. Quando io sono nell’aula sento realizzarsi, per un attimo, quell’aspirazione hegeliana (Amerigo sorriderà!) all’universale dello Stato (e che invece nello Stato propriamente detto non si realizza), e che trascende le differenze della società civile: il figlio del medico, il futuro sindaco, la figlia della donna delle pulizie vivono insieme per dodici, tredici anni, sono costretti a capire l’uno il mondo dell’altro… Un miracolo che va preservato. La scuola che tu immagini riprodurrebbe inevitabilmente le differenze della società: di classe o, in futuro, di religione o di ideologia… Non sarei affatto felice se mia figlia potesse frequentare una scuola con tutti docenti comunisti! Questa varietà che è ricchezza vale anche per la selezione del corpo docente. È vero: il sistema italiano, così burocratico, non è selettivo, per cui spesso un personale dal discutibile bagaglio disciplinare siede indegnamente sulle cattedre. Ma con la garanzia di una varietà di approcci e formazioni che tutela il ragazzo dal pensiero unico. Nella tua scuola ideale i docenti sarebbero selezionati con un criterio omogeneo, non solo di qualità, ma anche di “ideologia”. Pensi che alLa Salle, per fare esempi “incarnati”, insegni qualche docente che faccia professione di ateismo?
4) Tutto questo non mi impedisce di vivere in maniera problematica la scuola, soprattutto spronato da autori come Pasolini ed Illich che, provocatoriamente, ne chiedevano la chiusura. Autori-tafano, mi inducono a ripensare continuamente il senso del mio lavoro in una istituzione che è stata storicamente “genocidiaria” rispetto a tante culture (quella popolare, ad esempio, quella contadina), che è stata strumento, come dimostra Descolarizzare la società, in molte società, non di crescita sociale ma di radicalizzazione delle differenze. Prendo le riflessioni pasoliniane e quelle di Illich come un monito a non rassegnarsi all’esistente, a trasformare continuamente la scuola. In che direzione? In primis, chiedendo una selezione molto più rigorosa del personale docente, che dovrebbe essere di altissima qualità. Ma non basta. Esso andrebbe accompagnato nel tempo, con una formazione continua, un monitoraggio del lavoro. In questa direzione, pensare a premiare le eccellenze educative potrebbe essere una riforma possibile, in cui la parola “merito” assumerebbe un senso. Faccio un esempio non casuale: perché un docente che, oltre a fare in maniera egregia il proprio lavoro (come viene riconosciuto dai veri nostri giudici, gli alunni), si dedica alla ricerca storica ed etnomusicologia, deve prendere lo stesso stipendio di un collega che si limita a fare il proprio lavoro? Avendo lavorato per dieci anni nel privato riconosco importanza al merito, alla qualità, e vorrei che anche nel nostro lavoro iniziasse ad avere un peso. Ancora, ritengo che bisognerebbe ampliare i momenti di protagonismo dei ragazzi nella scuola, creando degli spazi non burocratici di creatività, espressione, discussione, anche politica. Infine, va accelerato il processo di arricchimento tecnologico delle scuole. Le LIM possono diventare uno strumento preziosissimo dal punto di vista didattico e, per alcune discipline, come la storia, necessario adeguamento alle capacità dei “nativi digitali” cui ci rivolgiamo, spesso con strumenti ottocenteschi.
5) Lasciami chiudere notando una contraddizione “filosofica” nella tua riflessione. Nel cuore dell’articolo parli del “merito”. Poi scrivi: «Nella scuola libera, insomma, la scuola non è più un impiego per professori – siano di ruolo o precari – e ritorna ad essere ciò che dice la parola greca: tempo libero dalle fatiche e dedicato alla formazione umana». Le due cose non sono compatibili: il merito fa pensare immediatamente alle istanze economiche. La frase finale, invece, allude ad una paideia completamente libera da questa urgenza. E qui, caro Giancristiano, a mio avviso, il vero cuore del problema. A partire dal Libro bianco di un socialista-cattolico illuminato come Delors i funzionari e gli intellettuali europei si interrogano su come adeguare la scuola ai bisogni dell’economia della nuova era. Ma la paideia non può essere una variabile subordinata del capitale e dell’economia. Per cui sottoscrivo in pieno la tua frase, e penso che il tempo libero dedicato alla formazione umana possa e debba essere tutelato proprio da quel vecchio ma insostituibile arnese che è la scuola pubblica e statale.