(Sanniopress) – Santa Unesco Sofia, ora pro nobis. Santa Unesco Langobardorum, ora pro nobis. Santa Unesco del Rosario, ora pro nobis. Ci siamo affidati al miracolo ma il miracolo non c’è stato. Ci siamo affidati alle preghiere, come se i paternostri risolvessero i nostri terreni fastidi, e le preghiere non sono state ascoltate. Perché le preghiere da sole non bastano, come sapeva benissimo San Benedetto, padre della Regola: ora et labora. Ma a Benevento la seconda parte della regola benedettina non piace molto. Si preferisce sperare nel miracolo senza muovere un dito. Così questa storia di Santa Sofia Unesco che avrebbe dovuto trasformare Benevento nel centro del turismo campano somiglia alla storiella di quel tale che desidera tanto vincer al gioco del lotto e va a pregare spesso San Gennaro: “San Genna’, mi raccomando, San Genna’ fammi vincer, San Genna’ ho bisogno”. Il santo si stanca della litania e un bel giorno gli fa: “Senti figliolo, io ti voglio pur far vincere, ma tu intanto comincia a giocare i numeri”. Insomma, aiutati che Dio ti aiuta che tradotto per l’occasione fa “aiutati che Santa Unesco ti aiuta”. Invece, neanche per sogno: il riconoscimento dell’Unesco – Santa Sofia (Benevento) patrimonio dell’umanità – è ciò che era: Benevento, patrimonio dell’immobilità.
La verità è che ci si attende sempre qualcosa da qualcosa o da qualcuno. La storia della “questione meridionale”, di cui è parte integrante Benevento, è la storia di questa attesa. Prima si attendevano le industrie, poi le infrastrutture, poi i finanziamenti e le industrie, le infrastrutture, i finanziamenti sono arrivati ma non hanno creato ciò che di per sé non potevano creare: la crescita civile che nasce e si irrobustisce solo con la virtù indigena. Il riconoscimento Unesco somiglia già a un’occasione perduta. La sua occasione, infatti, non sta nelle vagonate di turisti che dovrebbero giungere qui ma nella spinta o sfida che il Comune e la classe dirigente avrebbero dovuto ricevere e raccogliere per assumersi responsabilità nelle scelte, nelle strategie, nelle priorità. Invece, per paradosso è accaduto il contrario: non la responsabilità ma la de responsabilità, non la organizzazione delle scelte ma l’attesa miracolistica. Così accade che i turisti arrivino, ma Santa Sofia è chiusa. Così accade che l’occasione si trasformi in un danno. I turisti non vanno via per ritornare invogliati dal buon ricordo, vanno via delusi e arrabbiati.
L’Unesco non può fare miracoli. Il vero miracolo sarebbe stato quello del cambio di passo della politica che invece usa il riconoscimento alla vecchia maniera del suo stile retorico e trombonesco. Altri avrebbero fatto una ricognizione dei posti letto, della qualità dell’offerta, dei prezzi e si sarebbero posti il problema di quale turismo: èlite o massa? Al contrario di quanto si creda, Benevento, vista anche la sua offerta e le sue strutture ricettive, dovrebbe puntare sull’èlite: insomma, pochi turisti ma buoni. Dove – e lo sottolineo – l’èlite non è il turista che ha i soldi ma il turista che sceglie ed è esigente perché è consapevole, vuol vedere, conoscere, apprezzare e poi naturalmente si vuole ristorare.
L’Unesco non fa miracoli e pretende l’organizzazione, la preparazione, le decisioni. L’unica cosa che è stata fatta a Benevento in questo senso risale a molto prima dell’Unesco: la pedonalizzazione di corso Garibaldi. Ma quella scelta doveva essere solo la prima decisione di una serie di cambiamenti nel centro storico e nella definizione degli spazi urbani e dei simboli storici: Arco, Orsini, Traiano, Bue Api. Tutto è fermo, come il marmoreo sguardo millenario del Bue. Tutto resterà fermo. Su tutto vince la retorica di Benevento patrimonio dell’umanità che è la traduzione istituzionale di Benevento patrimonio dell’immobilità.