(Sanniopress) – Opportunamente, la prima puntata del nuovo programma di Michele Santoro è dedicata a “scassare la casta”. Qualcuno, anche a sinistra, potrà forse ancora attardarsi a pensare che si tratti di un cedimento all’antipolitica. Ma le cose stanno altrimenti. A ben vedere, infatti, la crisi di credibilità sperimentata in questi anni dai partiti – anche a sinistra – dipende dal fatto che essi hanno spesso perso di vista gli interessi dei blocchi sociali di riferimento per difendere quelli del ceto politico. In termini crudi: le poltrone e il potere di apparato dei partiti. E’ questa involuzione della prassi politica e dell’etica pubblica che spiega la deriva qualunquista, non certo il contrario. Il caso di Napoli è, in questa chiave, particolarmente significativo, addirittura paradigmatico. La parabola delle amministrazioni di centrosinistra a Napoli nel ventennio di Bassolino rende conto esattamente del modo in cui le forze egemoni dentro il Pd (o almeno ciò che oggi è il Pd) abbiano progressivamente smesso di operare da rappresentati di interessi diffusi del mondo del lavoro e dei ceti meno abbienti per trasformarsi in casta. Una trasformazione che ha un po’ per volta portato quel gruppo egemone a sostituire una ricerca del consenso mediante buone politiche con una strategia puramente clientelare, fatta di spartizione delle poltrone, prebende ed assunzioni nelle società partecipate. A Napoli negli anni delle clientele abbiamo visto di tutto. Il veicolo preferito per le operazioni clientelari era quello delle società partecipate che erogano i servizi pubblici locali per il fatto che, in quanto soggetti di diritto privato (per lo più spa), i loro margini di autonomia consentivano di agire indisturbati. E’ così che, in quegli anni, accadeva che un assessore alle partecipate, alla vigilia del suo arresto per uno degli scandali partenopei, si dimettesse facendosi poi assumere, il primo giorno lavorativo successivo, come direttore generale di una società comunale. Ed accadeva anche che un altro ex assessore, divenuto amministratore delegato, si facesse assumere come direttore generale dallo stesso cda in cui sedeva, conservando per un po’ il doppio incarico. Si consolidava in questo modo, soprattutto con la sindacatura lervolino, un potere grigio e impermeabile a qualsiasi tentativo di cambiamento. Che nulla faceva trapelare sulla entità degli stipendi dirigenziali, sui meccanismi di assunzione affidati a fantomatiche società interinali o sui criteri di erogazione delle premialità, talvolta esorbitanti, che in una città in ginocchio per la crisi venivano distribuiti in talune società a quadri e dirigenti. II tutto, naturalmente, con una crescita esponenziale del numero delle poltrone in cda, il ricorso al ripescaggio di portaborse e trombati della politica, nonché l’applicazione rigida del manuale Cencelli. Poi tutto ciò è venuto a galla ed è arrivato il crollo politico-elettorale. Né può sorprendere che Luigi de Magistris, che si è battuto dall’inizio contro clientele e malaffare, abbia raccolto nel maggio scorso il plauso del 65% dei napoletani. Ed ora, anche con il consenso delle forze sane che si stanno facendo spazio all’interno dello stesso Pd, stiamo scassando la casta. Abbiamo cominciato con una delibera di fine giugno che taglia i costi della politica insinuatisi nelle società partecipate: rafforzando i controlli e colpendo le spese in odore di consulenze e premialità. E poi siamo passati ai consigli di amministrazione, con una delibera che ne riduce drasticamente il numero, inserendo la figura degli amministratori unici. Abbiamo revocato i consiglieri di numerose società, sostituendoli con tecnici qualificati, abbiamo messo in liquidazione tre società, stiamo lavorando ad una rilevante fusione nel settore della mobilità e abbiamo trasformato la spa che gestisce il servizio idrico integrato in un soggetto di diritto pubblico, operando la prima ripubblicizzazione italiana nello spirito del referendum di giugno scorso. E così andiamo avanti, perseguendo il rigore nel pubblico per la difesa del pubblico. Certo, siamo al lavoro solo da quattro mesi e c’è ancora tanto da fare. Ma già questi interventi significano un risparmio di almeno 10 milioni di euro, oltre a tutto ciò che scaturisce dal ripristino della trasparenza e della legalità. E nel medio periodo ne apprezzeremo i vantaggi anche in termini di qualità dei servizi resi ai napoletani.
*assessore al Bilancio e alle società partecipate del Comune di Napoli
(tratto dall’edizione odierna de Il Manifesto)