(Sanniopress) – Per una volta una discussione si fa in modo civile, che bello. Si parla e si discute perché non si ha la verità in tasca, se avessimo la verità in tasca staremmo zitti. Però, alcune cose, caro Nicola, vanno chiarite. Quella che tu chiami “forza” è lo Stato di diritto. Quello che chiami con tinta negativa “capitalismo” è libertà d’impresa e mercato. Quelle che chiami categorie politiche otto e novecentesche – mettendo da parte classe, coscienza e il rapporto tra il marxismo e gli attuali indignati – è la democrazia rappresentativa. Tutto questo è stato creato – per non tirarla per le lunghe – dalla borghesia. Il più grande elogiatore della borghesia è stato Marx. Il quale voleva esserne anche il becchino dal momento che, come lo chiamò Croce, fu il “Machiavelli del proletariato”. Ma non riuscì a farle il funerale – né lui, né gli altri dopo lui, compresi i totalitarismi del Novecento, questi sì “novecenteschi” – per un motivo abbastanza semplice: perché il proletariato ha scoperto, a sue spese, che le libertà borghesi sono molto meglio delle dittature di quelli che fanno il male per il nostro bene.
So bene che non ti vuoi inoltrare più su questo sentiero che non consideri tanto “interrotto” quanto impraticabile. Tuttavia, pur dicendo che sapremo trasformare il mondo solo se saremo stati capaci di trasformare noi stessi, oscilli sempre tra politica e morale e avanzi soluzioni morali per problemi politici e soluzioni politiche per problemi morali. Sei sempre alla ricerca di qualcosa di rivoluzionario e di un movimento che la sappia interpretare, naturalmente secondo il credo della non-violenza. La “tua” rivoluzione nasce non solo dall’individuazione di ingiustizie ma anche dalla maturità di un pensiero occidentale che arriva a mettere in discussione la sua volontà di potenza. Su questo terreno ti posso anche seguire, ma da te mi separo quando questa filosofia morale diventa filosofia politica. Nessuna morale, caro Nicola, può mettere in discussione le libertà civili e, anzi, la libertà morale ha il suo compito proprio nel difendere e sostenere le libertà civili. Gli uomini ricevono maggior vantaggio dal permettere a ciascuno di vivere come più gli aggrada e pare meglio, piuttosto che dal costringerlo a vivere come sembra meglio agli altri. Da qui non si esce e difendere questo status quo significa difendere le libertà. La sovranità, come amava ripetere negli ultimi tempi Bobbio, è individuale, dei cittadini, non collettiva o dei movimenti.
Un’ultima annotazione. La rivoluzione è violenta perché nessuno stato di cose si lascia mutare senza violenza. Ma tra una rivoluzione riuscita (borghese) e una rivoluzione fallita (comunista) c’è una differenza chiara: la prima è riuscita sul piano politico e costituzionale perché era già avvenuta sul piano sociale e storico, la seconda è fallita perché non è mai avvenuta sul piano sociale e storico e quando tenta di farlo riesce solo a impossessarsi dei mezzi che avversa (collettivizzazione) ed a trasformare la democrazia liberale in dittatura (nel non peggiore dei casi). Tutti i rivoluzionari, teorici o pratici, sono borghesi insoddisfatti: o perché hanno poco o perché hanno troppo. A me pare che quelli che scendono in piazza non siano i primi ma i secondi. E’ vero, dovrebbero leggere di più. E’ ancora più vero che non serve leggere tanti libri, ma capirne almeno uno.