di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Il commento di Emilio Porcaro mi permette di ritornare sul progetto della regione Sannio. Lo faccio con piacere perché vedo che intorno a questa idea si inizia a ragionare e anche con argomenti seri. Inizio dai “nomi”. E’ l’esatto contrario di quanto da me proposto: il Sannio non è il Molisannio, né l’Irpinia, né il Principato. Il Sannio, pur potendo nascere dall’ampliamento del Molise, è una regione nuova che può unire subito almeno quattro province: Isernia, Campobasso, Avellino e la centrale Benevento. Il Sannio è territorialmente unito, ma istituzionalmente diviso. Si tratta di dare rappresentanza politica, istituzionale e sociale a questo territorio. E’ un progetto che poggia sul mito sannita, ogni mito che si rispetti ha la sua forza, ma la vera forza sannita non può che essere il nostro carattere intellettuale e morale di stare al mondo. Ce l’abbiamo? E allora che venga fuori ora, perché è il momento giusto.
Sul provincialismo beneventano e la diversità casertana pensavo di essere stato abbastanza chiaro, ma anche qui ritorno volentieri sul tema. E’ indubbio che Caserta abbia un mare di problemi che noi ci auguriamo di non avere – anche se le infiltrazioni camorristiche sono sempre di più – tuttavia è altrettanto indubbio che negli ultimi tempi il baricentro della creatività campana si è spostata dai napoletani ai casertani su più piani: politico, culturale, artistico, amministrativo. Il dramma della Campania è proprio questo: la incapacità del capoluogo – Napoli – di esprimere classe dirigente che risolva problemi invece di crearli. Benevento in questo gioco non conta nulla perché pensa di poter contare senza giocare, ossia senza sporcarsi le mani, senza ferirsi, stando in disparte, facendosi i fatti suoi, stando alla larga dalle cose del mondo che fanno male. Ma il provincialismo è proprio questo: la pretesa di pensare che il male non ci appartenga, non ci tocchi perché noi siamo altra cosa. Non è così: il male tocca tutti e solo affrontandolo si può crescere e maturare il diritto di dire qualcosa su noi e gli altri. Altrimenti si è muti. Come è muta Benevento che dorme come la Dormiente.
Ed eccolo qui il provincialismo pararsi davanti a me: ma lei Desiderio pensa davvero che l’abolizione della Provincia di Benevento risolva il problema del debito e degli spread? Io penso una cosa molto semplice: che c’è un governo in grande difficoltà che si è trovato a dover scegliere cosa fare subito perché non ha scelto cosa fare in anticipo e quando si è trovato con l’acqua alla gola – come ci ha fatto capire il presidente Napolitano – ha eseguito quanto gli veniva richiesto dall’Europa ma contrattando l’acquisto dei titoli di Stato. In questa girandola infinitamente più grande di Benevento, la Provincia è finita nei tagli. Ecco, l’idea che la Provincia di Benevento sia intangibile perché così non si risolvono i problemi del debito italiano è un pensiero piccino piccino che ha la sua radice in questo riflesso condizionato dalla storica enclave: a noi nessuno ci tocca. E invece no, chi pensa senza giustificazione di essere intoccabile è di per sé indifeso.
Ma allora che fare? Mettiamola così: la democrazia ha un costo e sempre più spesso il costo è stato pagato in debito. Il gioco oggi non si può più fare: la democrazia deve essere pagata con la produzione e non con i “pagherò”. Dunque, bisogna rivedere i conti e le cose che non possiamo più permetterci vanno via. Vedrete quante cose cadranno in questo stato sovietico impiantato che siamo diventati nel tempo al centro delle società libere e capitalistiche. Vedrete. All’Italia, al momento, è andata anche bene: qui si tagliano, forse, i corpi politici, ma restano in piedi le strutture amministrative, ma in altre realtà si è affrontato il problema con i licenziamenti. Che cosa accadrà se si dovesse arrivare a tanto? Si è iniziato dalle Province con un criterio discutibile, ma discutibili sono tutti i criteri. A cosa servono le province? A fare strade e a curare la manutenzione delle scuole. Le strade fanno schifo e le scuole cadono a pezzi. Entrambe le cose possono esser fatte dai comuni che si possono consorziare e forse finalmente potranno capire che amministrare significa lavorare e non fare clientele e rubare e rubacchiare per sé e i nipoti.
Il progetto Sannio deve partire da qui: un ente regionale amministra un territorio in cui si pagano delle tasse per avere dei servizi. In primis, il servizio sanitario. I sanniti sono in grado di costruire questo progetto o ritengono che tutto debba cadere dall’alto perché abbiamo l’onorevole Tal dei Tali o il consigliere regionale che si fa sentire a Napoli o la Madonna Pellegrina che prima o poi arriva anche dalle nostre parti e ci pensa lei? La storia è cambiata sotto i nostri occhi. Abbiamo due possibilità: tenere gli occhi aperti e provare a costruire qualcosa di più grande di noi oppure chiudere gli occhi credere che tutto si aggiusta perché a noi qui su non ci vengono a prendere e ci lasceranno in pace. La prima strada è il Sannio, la seconda l’uscita dalla storia.