di Antonio Tretola
(Sanniopress) – Se il cane, alfine, morde sempre lo “stracciato”. Bye-bye provincia di Benevento, in fondo meglio sfrondare un cespuglio della spesa, che potare la quercia secolare dello spreco.
La manovra ha fatto grondare di sangue il cuore del Cavaliere, mentre è prossima all’esaurimento la bile dei beneventani, la cui spoliazione progressiva assume contorni incredibili: nel giro di poco meno di un lustro, il Sannio è stato saccheggiato, svuotato, spremuto come un limone, deprivato praticamente di tutto ciò che lo rende, o forse lo rendeva, un territorio autonomo, provvisto di una identità, una struttura.
Negli anni abbiamo perso in un progressivo accesso d’intransigenza e solerzia anti-sannita, la Banca d’Italia e gli uffici dell’Enel, in una città fregiatasi di titoli artistici prestigiosissimi (l’Unesco, ad esempio) e ornata da incomparabili bellezze storico-artistiche, bisogna percorrere una settantina di chilometri per scovare una Sopraintendenza e sobbarcarsi viaggi da Odissea a causa della soppressione di numerosissime tra le corse ferroviarie più utili e comode.
Ma se la Bce chiama – quanti filosofi hanno preconizzato, atterriti, il “governo dei tecnici” – l’Italia risponde ed in ossequio all’abitudine, propria dei potenti sin dai tempi di Fedro che da schiavo qual era su padroni e padroncini la sapeva lunga, di colpire i tessuti già fragili, di svuotare ciò che già è scarico, di togliere anche la restante acqua agli assetati, di mordere (come il cane del nostro proverbio) ciò che è già stracciato, sacrifica sull’altare del rigore, le piccole province.
Un assoluto rovesciamento del ragionevole, un gioco delle parti in cui il numero e la quantità dettano legge: perchè se la provincia come istituzione ha davvero un senso, lo ha proprio nel territorio di media dimensione, ove funge come un’importante cabina di regia per l’azione di coordinamento tra i comuni, ove cerca di mediare le istanze dei territori demograficamente minori, perennemente a rischio di essere cannibalizzati dalle voraci fauci metropolitane. Ma la caduta di una pur incantevole pieve di campagna produce pur sempre meno rumore del crollo delle mille cattedrali dello scialo; le cinque Asl di Napoli sono un luminoso esempio di razionalizzazione e produttività, un’istituzione gloriosa come la provincia sannita, un ramo secco da tagliare. L’accorpamento, poi, con Avellino, pare proprio un contrappasso dantesco (per analogia), inglobati, inghiottiti dalla città che nel Dopoguerra ci ha strappato autostrade e grandi fabbriche, condannandoci ai margini dell’Italia industriale.
L’abolizione della Provincia Sannita non è ancora cosa fatta. un governo già vicino alla consunzione si presenterà in Aula con la manovra più urticante della storia nazionale ed allora sarà Vietnam su ogni articolato; il valore dei parlamentari sanniti si misurerà dal grado in cui sapranno tutelare una delle istituzioni più amate dai loro concittadini. Se poi il Sannio diverrà solo una parte dell’Irpinia, erigeremo (inaugurandola magari il giorno del prossimo derby con i lupi) una maestosa statua a Fiorentino Sullo, il ministro di Paternopoli che ci strappò l’autostrada qualche decennio fa: almeno aveva indovinato le previsioni!