di Billy Nuzzolillo
(Sanniopress) – Per molte ore tutti gli articoli de ilfattoquotidiano.it sono stati bloccati da Facebook che li segnalava come “contenuti offensivi” o “spam”. Un’esperienza che nei mesi scorsi abbiamo vissuto anche noi di Sanniopress senza poter fare alcunchè poichè le svariate segnalazione che abbiamo effettuato tramite gli appositi form del social network sono rimasti senza risposta. Poi, all’improvviso, il blocco è stato rimosso, permanendo ancora per qualche settimana solo la richiesta di inserire nell’apposito spazio le lettere e i numeri che apparivano.
L’ipotesi più credibile, nel nostro come nel caso de ilfattoquotidiano.it, è che il problema sia stato determinato dal fatto che qualcuno abbia segnalato, verosimilmente in maniera strumentale, i contenuti dei siti in questione come inappropriati. Si parla sempre di internet come veicolo di democrazia ma, in realtà, non è proprio così. I contenuti che passano attraverso internet e i loro filtri sono in mano a pochissime multinazionali. Google e Facebook sono tra le più influenti e possono applicare liberamente filtri alle ricerche e alle condivisioni di contenuti.
A tal proposito vi riporto di seguito la riflessione di Alberto Puliafito sul sito del Fatto, che offre molti spunti di riflessione:
“a) Facebook ha un sistema automatico per gestire questo tipo di situazioni, che non prevede, se non a posteriori, il controllo umano e che ignora il rapporto segnalazioni positive/segnalazioni negative. Grave.
b) Facebook non ha un filtro, per questo tipo di segnalazioni “di massa”, reali o strumentali che siano, che tuteli quantomeno le testate giornalistiche. Il che significa che la cosa potrebbe capitare, domani, anche alla Gazzetta dello Sport, a Repubblica, a Libero, al Giornale e via dicendo. Grave anche questo.
Ma c’è dell’altro. La percezione che l’utente medio ha di Facebook è quella di un luogo di “libero scambio di comunicazione”. L’evento che si sta protraendo da ieri sera dimostra, invece, che il social network può arbitrariamente e selettivamente cancellare dalle proprie pagine tutti i contenuti provenienti da un determinato dominio. Per errore, per un “Denial of Service Attack“. O magari, un giorno, perché da quel determinato dominio provengono contenuti sgraditi al social network.
Qualcuno potrebbe obiettare che in fondo Facebook è una compagnia privata con una sua policy da far rispettare ad ogni costo. Proviamo a fare un esempio alternativo, allora. In un certo senso, Facebook sta a internet come una compagnia telefonica (per esempio Telecom) sta al telefono. Quindi, se accettiamo il parallelismo – che richiede, ovviamente, dei distinguo ma viene fornito a titolo esemplificativo – è come se Telecom impedisse a un gruppo di persone di parlare al telefono fra di loro o di parlare al telefono di un determinato argomento proveniente da una determinata fonte.
Uno scenario piuttosto inquietante, non trovate? Ma ritornando ai fatti, non si può che limitarsi a rilevare come questo evento sgradevole:
a) faccia fare a Facebook una figura decisamente poco edificante;
b) ridimensioni di molto l’illusoria libertà su Facebook (e sulla rete, più in generale);
c) faccia sorgere almeno un legittimo dubbio: presa come assunto la “buona fede” di Facebook (fino a prova contraria, naturalmente), ipotizzare che ci sia del dolo da parte del social network è troppo dietrologico: cosa accadrebbe, se uno strumento potente come Facebook (o come Google, per dirne un’altra) cadesse nelle mani di qualcuno che in buona fede non è?
Per le teorie cospiratorie ci si risente un’altra volta (a qualcuno farà tremare i polsi notare, per esempio, che anche un pezzo da Informare per Resistere, per l’esattezza una videoinchiesta sul G8 di Genova, risulta non condivisibile con le stesse modalità). Per ora, limitiamoci a trarre le conseguenze dai fatti”.