di Giancristiano Desiderio
La cosa più importante delle prossime elezioni politiche non è il quando ma il come. Il “quando” potrà essere tra un anno oppure la scadenza naturale della legislatura, ma non è un fattore essenziale perché il tempo è ormai allo scadere. Il “come”, invece, è molto più decisivo perché dalla legge elettorale dipende il destino di B e B. La Lega in questo voto amministrativo – che nel pensier rinnova la paura – ha fatto male i suoi calcoli: credeva di prendere i voti che perdeva l’alleato di governo ed è rimasto con un pugno di mosche. In politica un errore è normale, un secondo errore è anormale. Bossi ormai sa, per esperienza, che l’alleanza con Berlusconi gli fa perdere voti. Il suo bene più prezioso è l’autonomia. Il modo per averla è l’abolizione del premio di maggioranza dell’attuale legge elettorale. La convenienza di Bossi stranamente s’incontra ancora una volta con la convenienza di Berlusconi.
Nel partito del presidente del Consiglio ci sono movimenti e sommovimenti. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, diventerà quello che un tempo si chiamava segretario politico del partito. Affiancherà lo stesso presidente-fondatore Berlusconi, mentre i tre coordinatori – Bondi, congelato, e La Russa con Verdini – non coordineranno più nulla. Insomma, si cerca di correre ai ripari. Tuttavia, il Pdl non è un partito semplice da cambiare per un motivo più che altro – scusate la parolaccia – ontologico: non è un partito. Anche le stesse anticipazioni di Roberto Formigoni sulle sette o otto possibilità di leadership alternative a quella naturale di Silvio Berlusconi vanno prese con grande beneficio d’inventario. Berlusconi non solo non ha – come dice lui – il tempo di preparare il suo funerale, non ha neanche la possibilità. I problemi giudiziari non gli consentono di mollare la presa e allora, volente o nolente, dovrà ancora una volta essere in pista. Allo stato attuale delle cose è ancora lui il candidato necessario del Pdl o del nuovo nome che avrà il non-partito del capo del governo. Stando così le cose, ecco che la convenienza di Bossi s’incontra con la convenienza di Berlusconi: anche il Cavaliere ha tutto da guadagnare da una legge elettorale che gli dia la massima autonomia possibile di manovra e che non lo vincoli ad aggregazioni e che non esponga al rischio del braccio di ferro con l’avversario dello schieramento alternativo. Senza contare che, perfino in caso di sconfitta, Berlusconi sarebbe indirettamente, anzi, direttamente tutelato dalla politica e dal suo ruolo di capo dell’opposizione.
C’è, inoltre, un altro elemento per nulla secondario. Fino ad ora Berlusconi ha portato voti ai suoi candidati. Ora il meccanismo si è capovolto o comunque trasformato: Berlusconi ha bisogno di candidati che gli portino voti. La logica del listino calato interamente dall’alto – indipendentemente che la legge resti com’è o cambi – rischia di essere un boomerang o un’arma a doppio taglio. Berlusconi sa bene di non essere all’inizio ma alla fine e l’uso della comunicazione come arma politica privilegiata è molto spuntata. In altre parole, è necessario rimodernare la classe dirigente e parlamentare del partito perché il tempo delle veline e delle belle ma povere di voti è passato. Il lavoro di Angelino Alfano dovrà consistere soprattutto in questa impresa organizzativa e di reclutamento. Ma per sempre e comunque per conto di Berlusconi. C’è poi da aggiungere un altro elemento che riguarda la sinistra.
Se si dà, anche rapidamente, uno sguardo alle vittorie significative (e alle sconfitte) del voto amministrativo di Pisapia e De Magistris si vedrà che il Pd ha perso come il Pdl e se proprio vogliamo usare la parola “sinistra” per indicare i vincitori dobbiamo poi aggiungere l’aggettivo “irregolare”. Quella che ha vinto è una sinistra fuori dalle regole comuni e l’idea di interpretare il voto come un’affermazione della coalizione avversa al Pdl e alla Lega è un’illusione ottica. Detto altrimenti, se la sinistra pensa a cose come l’Unione, l’Ulivo e la “gioiosa macchina da guerra” sta facendo il medesimo errore del 1994. Ecco perché a conti fatti anche al Pd conviene avere una nuova legge elettorale priva dell’attuale premio di maggioranza che – diciamolo con sincerità – è sì un premio, ma senza maggioranza. Dunque, riformare la legge elettorale conviene a tutti. Conviene anche e soprattutto al Paese perché l’attuale legge consente di vincere ma non garantisce il buongoverno. E’ vero che la legge capace di garantire il buongoverno non è stata ancora inventata, ma uscire dall’inganno di una legge che ci dovrebbe dare stabilità e invece ci dà immobilità è già qualcosa.