di Giancristiano Desiderio
Storia un po’ tormentata, questa del Teatro romano di Benevento, la cui risurrezione fu sempre presente a tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute nella storica Città specialmente nell’ultimo cinquantennio, durante il quale dopo parziali e interrotti tentativi, fu possibile restituire alla luce uno dei più insigni monumenti della romanità nel Mezzogiorno d’Italia.
Avrei dovuto iniziare l’articolo usando le virgolette, ma il testo dello storico è talmente attuale che quasi si confonde con la cronaca. Allora, anche per creare un po’ di attesa, ho citato senza virgolette. Il lettore, dopotutto, un po’ sull’avviso dovrebbe sentirsi quando il testo dice che la risurrezione del Teatro romano “fu sempre presente a tutte le amministrazioni comunali”. Qua, infatti, non c’è dubbio, la storia prevale sulla cronaca, il passato sul presente: il Teatro romano è chiuso, inaccessibile, inutilizzabile, praticamente abbandonato e ridotto male, ma l’amministrazione comunale al di là delle rassicurazioni di circostanza e dell’interpellanza alla Soprintendenza non ha fatto. E, invece, anche al di là delle specifiche competenze e responsabilità, qualcosa bisogna fare perché il Teatro di Adriano e Caracalla è davvero “uno dei più insigni monumenti della romanità nel Mezzogiorno d’Italia”. Dunque? Un’idea potrebbe essere questa.
Come Diego Della Valle con la sua azienda pagherà il restauro del Colosseo, così un imprenditore di Benevento o, con maggior verosimiglianza, un gruppo di aziende sannite potrebbe curare il restauro e la messa in sicurezza del Teatro romano. E allo stesso modo in cui il gruppo calzaturiero marchigiano potrà fregiarsi del simbolo del Colosseo, così gli imprenditori sanniti potrebbero utilizzare il Teatro romano come un logo. L’idea non è irrealizzabile, basta che le istituzioni si pongano il problema e trovino un’intesa. Il resto viene da sé o quasi. Certo è che se Benevento – la città dei sei teatri – intende coltivare ancora la sua identità di città di cultura e spettacolo deve anche capire come fare un salto di qualità per uscire dalla retorica del turismo culturale e dal mercato delle sovvenzioni pubbliche a fondo perduto.
Il Teatro romano non è solo un bene da tutelare, ma anche da utilizzare. La sua presenza può essere ancora viva e attuale e generatrice di lavoro e opera. La migliore salvaguardia è la cura ai fini dell’uso. In questo senso la Soprintendenza può fare ben poco perché la sua funzione è prima di tutto la salvaguardia. Ma l’ultima cosa che dobbiamo pensare di fare è trasformare il Teatro in un oggetto di antiquariato. Se la Soprintendenza non è nelle condizioni neanche di assicurare la tutela del Teatro, allora, tocca al comune o, come dice il nostro storico, alla Città capire cosa fare per affidare il Teatro a chi lo cura e utilizza.
Ho letto una bella intervista dell’attore beneventano Michelangelo Fetto sulle condizioni di abbandono del Teatro, ma non ho né letto né sentito repliche. Forse, mi sono distratto. Eppure, per amministrare Benevento niente è meglio delle idee dibattute in pubblico. Proprio per il rispetto che si deve alla “risurrezione” – questa volta virgoletto – del Teatro romano e ciò che ha significato nella storia della Città una civile discussione è ancora il mezzo più giusto per analizzare il caso e riscoprirne la grande risorsa.
(il testo d’apertura, naturalmente è di Alfredo Zazo ed è tratto da Curiosità storiche beneventane)