di Giancristiano Desiderio
Il Sannio con i cinque comuni del vino – Sant’Agata dei Goti, Torrecuso, Solopaca, Castelvenere, Guardia Sanframondi – ha avuto l’ambito riconoscimento di Città europea del vino 2019 e invece di portare l’Europa, l’Italia e la Campania nel Sannio, a Benevento e nei comuni dei vigneti dell’Aglianico e della Falanghina per illustrare l’anno che verrà, pieno di storia e di vino come un simposio greco, si sposta a Napoli per fare una conferenza stampa. Un errore, un errore marchiano che è una dichiarazione di sudditanza e provincialismo nel momento stesso in cui vorrebbe dimostrare autonomia e cultura. Lo stesso comunicato stampa che dà notizia della scelta mette le mani avanti con una excusatio non petita, accusatio manifesta ossia una scusa non richiesta che è un’accusa manifesta: “Prima di tutto va specificato che cade in errore chi pensa all’incontro di Napoli come ad un puro e semplice evento”.
Va specificato che penso all’incontro di Napoli del 16 febbraio come ad una prima occasione persa. Non è Napoli ad essere stata individuata come Città del vino. Chi verrà qui nel Sannio, ad esempio Josè Calixto, presidente di Recevin, vorrà vedere questa terra e il suo oro del succo d’uva che ricopre quasi tutta l’estensione di valli e colline dal Taburno al Matese. Chi nell’ultimo mezzo secolo di vita ha fatto il miracolo economico e agricolo sannita dovrebbe avere voce in capitolo nel governare un anno di storia particolare in cui chi lavora, pensa e vinifica ha molte più cose da dire, mostrare e immaginare di quante non ne abbia chi avendo il dovere di rappresentanza si è già dimostrato privo rappresentazione. Abbiate un po’ di fantasia e non vi vergognate di far vedere i lavoratori, i vigneti, i trattori, le cantine, i luoghi belli e brutti dove si fa il vino tutto l’anno con passione, sacrificio, necessità e divina vitalità.
Domenica ho letto sul Corriere del Mezzogiorno un articolo di Gimmo Cuomo che, forse, era un po’ ingeneroso ma che nella sostanza era vero. Il titolo era questo: “Il Barbera di ‘di Santo’ emblema del vino sannita”. Il senso del pezzo era questo: il vino è buono ma non lo sanno vendere perché nel Sannio “si continuano a produrre centinaia di migliaia di ettolitri di vino generalmente buono, senza curarsi di raccontare il territorio, di comunicare la fatica del viticoltore, senza esaltare la qualità, senza aggiungere valore alla bottiglia nuda e cruda”. Se c’è una cosa che il 2019 dovrebbe fare per il vino sannita con questo ambìto e bel riconoscimento europeo è proprio questo matrimonio: vino e cultura, bottiglia e storia. Siete in grado di farlo? Siamo in grado di farlo? E’ tutta qui che si gioca la vostra, la nostra nobilitate. La Città del vino non è solo un riconoscimento ma una prova. Mettetevi alla prova e non scappate altrimenti questa è un’occasione persa ancor prima di cominciare.
E’ inutile andare a Napoli per fare una conferenza stampa sul Sannio se la storia da raccontare è quella del vino sannita. Meglio vedersi tutti a Castelvenere, il paese più vitato in Italia, forse in Europa; meglio vedersi a Guardia Sanframondi o a Solopaca o a Sant’Agata dei Goti dove la storia da raccontare è infinita e la bellezza è in ogni pietra, in ogni affresco, in ogni chiesa o palazzo. Se ci si porta sopra Torrecuso si vedrà la valle dove Carlo d’Angiò, con l’aiuto dei soliti baroni, combatté e sconfisse Manfredi di Svevia cambiando la storia non solo di queste terre, ma di Napoli e del Mezzogiorno. Non è mica detto che per raccontare la stessa storia di Napoli si debba stare all’ombra del Vesuvio o della presidenza della Regione. Il Sannio non uscirà del provincialismo se andrà a Napoli in automobile ma se riuscirà a mettere se stesso a tema o a sistema e così saprà, provando sbagliando e riprovando, come mettere insieme le sue bottiglie con la sua storia antica e moderna che aspetta ancora di essere raccontata con intelligenza e di essere rappresentata da una politica sobria, asciutta e lungimirante.
Non è solo una questione di comunicazione, anzi, non lo è per niente. E’ una faccenda di contenuti, di serietà, di lavori, di esperienze, di aziende. Non dubito che tutte queste cose verranno fuori ma allora è bene che tutto inizi lì dove c’è la Città del vino e che la Città – questa Città del Sannio – sia il teatro in cui portare in scena la cosa più bella che la terra sannita ha fatto nell’ultimo quarto di secolo trasformando e rigenerando se stesso come un antico vigneto. Siete ancora in tempo, non commettete un errore pacchiano.