di Giancristiano Desiderio
Signori, ho scritto una cappellata. Vi spiego.
L’altra sera ero a Telese, nella sala della biblioteca comunale, ed ero intento a scrivere una dedica sul frontespizio di un mio libro, quando si avvicina un tale elegantemente vestito e mi fa: “Stai scrivendo una poesia?”. Sento ma non alzo lo sguardo, penso “mo chi è questo filosofo?” e continuo a vergare il pasticciaccio. Il tizio, però, insiste e si presenta: “Sono Jonathan, ricordi? Facevo le traduzioni per CroceVia”. Mi si apre il mondo della memoria di un’altra vita quando con dei pazzi andavo su e giù da Monte di Dio e facevo la rivista di filosofia CroceVia – con Corrado Ocone, Michele Biscardi e l’editore napoletano Esi – che ebbe circolazione non poca e considerazione maggiore. Jonathan Esposito lavorava alle traduzioni dall’inglese e voltò alcuni testi di Berlin, Arendt e chissà cos’altro. Vabbè, a voi di tutto ciò non vi frega.
Dopo un po’ di convenevoli e il piacere della sorpresa, il mio amico mi dice il motivo dell’incontro per il quale si è preparato con tanto di documentazione: “Hai scritto un bellissimo articolo su Charles Dickens e il suo soggiorno a Sant’Agata dei Goti. Bello davvero. Purtroppo, ti devo dire che Dickens non è mai stato a Sant’Agata dei Goti o almeno non in quell’occasione a cui fai riferimento. Una Sant’Agata di mezzo c’è ma è Sant’Agata di Sessa, una piccola località nei pressi di Sessa Aurunca”. E mi mostra il fascio di fogli che, oltre alle molte citazioni di autori che nel loro viaggio in Italia si sono fermati nella locanda di Sant’Agata a Sessa, riproduce anche il disegno di Hans Christian Andersen datato 20 marzo 1834 “La locanda di Sant’Agata vicino Napoli” che mostra tre casupole e una lanterna.
Qualche tempo fa, 9 aprile 2018, ho scritto un pezzo su Charles Dickens e Sant’Agata dei Goti ricavando la notizia – come scrivevo citando la fonte – dalle stesse pagine di Dickens pubblicate dall’editore napoletano Colonnese e curate da Stefano Manferlotti che nell’introduzione non esita a identificare la Sant’Agata citata da Dickens con Sant’Agata dei Goti. “Scusa Jonathan – dico – la mia fonte è Impressioni di Napoli che dà il soggiorno praticamente per scontato anche se io nell’articolo, non sapendo dove Dickens e famiglia pernottarono, avanzo delle ipotesi e specifico che sono congetture destinate a restare tali senza lo straccio di un riscontro”. “Lo so – mi risponde – il tuo pezzo è corretto ma non sei l’unico ad essere caduto nell’equivoco. Sul Mattino uscì un articolo di Alberto Zaza D’Aulisio che, indotto in errore anche lui dal libretto curato da Manferlotti per Colonnese, confondeva le due Sant’Agata. Ho scritto a Colonnese segnalando la confusione e mi hanno risposto che in una prossima edizione avrebbero corretto ma non mi pare che al momento sia uscita una nuova stampa”.
Sant’Agata a Sessa dovette essere la prima fermata interna nel Regno di Napoli per chi scendeva da Roma: l’osteria era tra Formia e Sessa Aurunca. La locanda in questione doveva essere un luogo immondo, almeno così la definisce nientemeno che Walter Scott che vi fece sosta il 15 aprile 1831; il suo giudizio è confermato da Catherine Sedgewick che parla di “locanda sudicia” mentre il pittore gallese Thomas Jones pur trovando nel 1778 la “locanda nuova e ben costruita” si lamenta del servizio e dell’oste burbero e la stessa lamentela si ritrova nel libro dello storico svizzero Galiffe che sostò a Sant’Agata a Sessa nel giugno 1817: “Quella notte dormimmo a Sant’Agata, dove trovammo il cameriere più sfacciato ed impertinente che probabilmente sia mai esistito”. Ma non tutti coloro che son passati per la locanda di Sant’Agata ci hanno lasciato brutti ricordi. E’ il caso del giornalista americano N. P. Willis, inviato del New York Mirror che spende parole di apprezzamento per il luogo e “le belle contadine” e del grande Goethe che il 24 febbraio 1787 scrive nel suo diario: “… nella valle dove giace Sant’Agata, una discreta locanda che ci ha dato il benvenuto con un fuoco allegro bruciante nel camino, tuttavia la nostra stanza è fredda ghiacciata e senza vetro alle finestre, con solo gli scuri, perciò mi affretto a finire di scrivere”.
C’è uno spiffero freddo che da questa finestra alla mia destra mi arriva diretto sul collo e così mi affretto anche io a finire di scrivere, non prima però di aver ringraziato l’amico ritrovato Jonathan che vive a Cerreto Sannita che mi ha fatto conoscere la storica locanda di Sant’Agata a Sessa intorno alla quale ruota davvero un gran numero di scrittori, artisti, viaggiatori e una varia umanità tra il Settecento e l’Ottocento e la citazione di “Sant’Agata”, che così di frequente ricorre in non pochi diari, libelli, vite di avventure e di passioni, mi induce a pensare che le sorprese non sono finite.