di Gennaro Malgieri
Ma che fantasia, ma quanto acume, quale capacità di analisi… E’ il meno che si possa dire. Di “Giggino” Di Maio, naturalmente, statista di Pomigliano d’Arco e per nostra disgrazia vicepresidente del Consiglio dei Ministri, oltre che “capo”, sia pure “condizionato” (o dimezzato), del Movimento Cinque Stelle. Tutto gli si può imputare tranne la mancanza del dono di rivendersi spudoratamente, come una novità assoluta, quel che tutti, perfino chi non ha alcuna dimestichezza con la politica, avevano già intuito da un pezzo tranne lui. E cioè che Matteo Salvini farà di tutto per rendere opaca, sbiadita la presenza dei pentastellati nel governo e nella maggioranza che lo sostiene. Al chiaro scopo di ridimensionarli e renderli innocui. E l’occasione, tutt’altro che inedita – quasi un detonatore – sarà un aspetto cruciale della riformetta giudiziaria.
Come nel passato prossimo, infatti, esecutivi ben più coesi sono entrati in fibrillazione sulla giustizia, il copione si ripropone oggi sia pure rivisto e corretto da Salvini con uno scopo di più ampia portata. La prospettiva di una “prescrizione lunga” immaginata da quel genio assoluto che risponde al nome di Bonafede, Ministro di Grazia e Giustizia, per il quale i processi dovrebbero essere eterni, non entusiasma Salvini, anzi lo deprime a tal punto da aver fatto capire ai provvisori alleati che non se ne farà niente e che se insistono nel proposito sconfessato da tutti, perfino dai più incalliti giustizialisti, non ci metterà molto a decretare la fine della tutt’altro che esaltante esperienza gialloverde.
La sola ipotesi sembra che abbia provocato le convulsioni a “Giggino” attaccato anche nei suoi gruppi parlamentari per via di quel destrorso decreto sulla sicurezza che alcuni dei militanti “duri e puri” non voteranno. Per di più, e tanto per non farsi mancare niente, Salvini gli ha pure fatto recapitare via Giorgetti la contrarietà all’approvazione, sotto qualsiasi forma, del cosiddetto “reddito di cittadinanza”. Pare che dalle convulsione al pre-coma il passo sia stato rapidissimo, al punto che i più fidati collaboratori di Di Maio gli abbiano nascosto i risultati del recente sondaggio non proprio esaltante: Salvini che spicca il volo e lui, asserragliato in una sorta di nido del cuculo, che non sa più di chi fidarsi, mentre vede i sostenitori assottigliarsi.
L’alleato gli ha lanciato il guanto di sfida; i gruppi parlamentari lo mettono in discussione; Fico non si fida ed organizza le sue truppe; Di Battista ha già prenotato il viaggio dall’America Centrale che prima di Natale lo riporterà in patria non certo per visitare i presepi e sembra che anche Grillo ne abbia le scatole piene di quel che sembrava poter essere il suo delfino ed invece si è rivelato un tonno, con tutto il rispetto per il ragguardevole cetaceo. Una situazione insostenibile. Che non può avere altro sbocco se non l’erosione dell’elettorato pentastellato a vantaggio della Lega: nel Nord già il 16% sembra intenzionato ad operare tale scelta . Salvini aspetta il momento giusto per lanciare l’attacco finale. Anche perché gli ci vorrà ancora un po’ di tempo per regolare i conti con Berlusconi e con quel che rimane del Centrodestra.
Nell’attesa schiera i suoi colonnelli, dal fido Giorgetti alla Bongiorno, che non gliele mandano a dire ai polli di Di Maio, ma apertamente e con una violenza non usuale tra partner della stessa coalizione, gli fanno intendere che andranno a sbattere, molto prima di quanto immaginino.
Del resto, la posta in gioco è chiara. O Salvini accetta le imposizioni dei Cinque Stelle – prescrizione, reddito di cittadinanza, sbaraccamento del condono, ridiscussione del grandi opere, “decrescita felice”, assistenzialismo di Stato – e si suicida politicamente, posto che la sua gente non lo seguirà tra questi trabocchetti; oppure pone un freno alle spericolate pretese di Di Maio e soci e si prende l’Italia senza dividerla con nessuno. Non c’è bisogno di un indovino per sapere quale sarà la sua strategia dopo il varo, che non sarà indolore, della Legge di Stabilità.
Di Maio non resterà tuttavia a mani vuote. Potrà sempre vantarsi di aver tagliato i vitalizi, di aver inferto un colpo durissimo alla Casta, di aver tolto ai “ladri di privilegi” ciò di cui si erano appropriati illegittimamente (ma secondo i le leggi vigenti: sublime paradosso). Magari ci farà la campagna elettorale europea con questa roba che eccita le folle e lo fa apparire come un novello Robin Hood. Ma sarà per poco: il tempo della declaratoria di incostituzionalità che sancirà la restituzione del maltolto agli ex-parlamentari con annessi interessi. Un capolavoro. Che si godrà nella più perfetta solitudine.