La Liguria, la terra che più volte da queste colonne abbiamo provato a raccontare, è stata di nuovo martoriata dalle tempeste, il levante in particolare. Le perturbazioni si insinuano senza ostacolo da ponente e finiscono per infrangersi contro l’Appennino, nel tratto che scende verso la Toscana, è sempre così, succede per la morfologia della regione.
Immortalate da smartphone azionati da mani impavide (oramai si perde anche la vita per un selfie), attraverso le interconnessioni moderne, quasi in tempo reale, spaventose testimonianze dell’ultima buriana dilagano nei nostri occhi: onde altissime, venti furiosi, strade sprofondate e risucchiate dal mare.
È lo stesso mare che col suo moto perpetuo sembra opporre una forza di resistenza allo sbiettare delle terre dalla montagna. Così appare quella Liguria, in bilico tra lo scivolare in mare e l’esserne risucchiata.
“Il mare mi è entrato in cantina, portando via una grossa parte della mia memoria storica. Per il resto, non ho subito gravi danni, solo due muretti franati. Poteva andare peggio.”
In queste parole di Heydi Bonanini,nome svizzero per una predizione casuale che un bimbo fece alla madre, c’è la fotografia della viticoltura delle Cinque Terre, frasi che raccontano una viticoltura avvinghiata alla montagna, finitima al mare: la ricchezza delle brezze, l’ardire di sfidare le minacce della natura per recuperare la memoria agricola, l’opera costante di assestare e armonizzarsi alla natura, l’assenza di ogni recriminazione e vittimismo.
Le vigne di Heydi scendono da 200 metri al mare, le abbiamo attraversate stesi sul carretto della sua cremagliera (clicca per vedere). Abbiamo visto e toccato i cespugli selvatici di erbe aromatiche e fiori, i rami degli alberi, i tralci, visto i piedi degli operai muoversi sulle strette strisce di terra sostenute dai muretti, mentre il mare impetuoso sbatteva sugli scogli, metri e metri sotto.
L’anno scorso l’uva vendemmiata dagli ultimi tre filari, una ventina di metri sul livello dell’acqua, è arrivata in cantina via mare, impossibile risalire con le cassette sino al capolinea della cremagliera.
Coltivare qui vuol dire conservare il territorio, salvaguardare le terre che spesso non sono proprie e quasi impossibili da acquistare: proprietà frammentata, infiniti intestatari, eredi di compianti possidenti, ormai emigrati, disinteressati, lontani.
I vini di Heydi sono lo specchio delle vigne e del suo carattere: aperti, pieni, avvolgenti, intensi, palpitanti. Il Cinque Terre bianco è prodotto a partire da uve Rossese Bianco, Bosco, Albarola, Piccabon e Frapelao, in cloni locali, impiantati su portinnesti che radicano in profondità e quindi trattengono il terreno, assorbendone anche le più profonde mineralità. Fermentazione breve sulle bucce, trasferimento parziale in barrique, affinamento in rovere e acacia. L’esito è un concentrato liquido di macchia mediterranea, con ginestra, rosmarino e timo a tiranneggiare e accompagnare una salinità pungente.
Schietto e persistente, vinoso e minerale, di grande personalità, il rosso U Neigru da uve Cannaiolo e Bonamico. Fermenta parzialmente in castagno, sospinge al convivio e agli abbracci.
La sorpresa per gli uomini d’animo grande, che pur usi alla sofferenza, costantemente chiamano conforto, si chiama Rosè d’Amour, un rosato da uve Bonamico e Moscato rosso. Puro abbraccio, seduzione, carezze, tenerezza, baci. Tutto in un bicchiere di vino.
Per produrre il famigerato Sciacchetrà, il vino passito probabilmente più raro d’Italia, Bonanini seleziona gli acini uno ad uno. In cantina sta provando l’innovazione delle botti di pero, in cui trasferisce il vino dopo il primo anno di maturazione in ciliegio. Il legno di pero è molto poroso e se per un verso “assorbe” parecchio vino, per altro ne accelera la maturazione.
Il mare è entrato in cantina e ha portato via la memoria storica di Bonanini; il mare, la montagna, il cielo, l’umanità restano nelle sue bottiglie.