di Giancristiano Desiderio
Io devo confessarvi che mi sta sul cazzo praticamente tutto e sono infastidito da tutto. Siamo in una di quelle situazioni che si dicono di merda, in cui ci metti cinque minuti a distruggere ciò che è stato fatto in cinquant’anni. Ma che ci posso fare? Niente. Così hanno voluto gli italiani, così ha voluto la mia generazione che è fatta di gente fraccomoda che osanna i diritti e odia i doveri e peggio è fatta la generazione successiva che ritiene che lo Stato sia come l’albero che il Gatto e la Volpe dissero a Pinocchio che sarebbe spuntato al campo dei miracoli nella città Acchiappacitrulli se il burattino avesse interrato le sue quattro monete d’oro. I finti dibattiti televisivi, gli articoli arruffati, la propaganda infinita, la cialtroneria e l’ignoranza ostentate senza vergogna, tutto mi mette di malumore e mi dà un senso di nausea fino ai conati di vomito. Non avrei mai immaginato che le condizioni morali e intellettuali del tempo italiano mi avrebbero gettato in questo sconforto che una volta sarebbe passato con una risata liberatoria e ora, invece, sembra uno stato d’animo permanente subìto senza via d’uscita per mancanza di un avversario decente.
E’ come se il mondo fosse impazzito e tutti gli adolescenti, i ragazzini, i fanciulli, i bulli fossero scappati di casa a prendere i posti lasciati vacanti dagli adulti. Ormai ognuno può fare e dire ciò che gli pare perché le parole e il pensiero sono state svincolate dal principio di non contraddizione, mentre le intenzioni e le azioni possono fare a meno delle condizioni date e dell’obbligo di produzione. L’altro giorno, in un momento in cui il malumore mi dava un po’ di tregua, si parlava con un giovane studente di filosofia greca e di quello strano principio – l’arché – dal quale i grandi disoccupati della storia antica facevano discendere tutte le cose. Secondo Anassimandro l’Apeiron, ossia l’illimitato, è il principio di tutte le cose limitate che si manifestano nella nostra esperienza. Il ragazzo, alle prime armi negli studi della vita spericolata, mi ha detto che secondo Anassimadro il principio di tutte le cose è l’Aperol. Non ci avevo mai pensato ma una lettura alcolica della storia della conoscenza potrebbe essere più corrispondente alla verità. Senz’altro ci darebbe la possibilità di capire meglio questa Italia in cui la filosofia sarebbe il proprio tempo appreso con un Campari e un Punt e Mes nell’happy hour dell’orrida Apericena.
E’ probabile che abbiate lasciato la lettura di questo articolo, scritto con il fegato più che con la testa, al terzo rigo. Avete fatto bene. Ma allora per chi cazzo sto scrivendo? Per me stesso. Siate fedeli alla massima caustica di Karl Kraus: “Ma dove troverò mai il tempo per non leggere tante cose?”. Purtroppo, abbiamo esagerato. E non perché non si legga più ma per due altri motivi: perché non si sa più leggere e perché, non sapendo più leggere, si leggono solo cose che sono già morte prima di nascere. Edmondo Berselli prima di morire, in quella sua breve vita in cui riuscì a mettere da parte tante cose che ci sono utili se sapessimo ancora leggere, diceva che gli piaceva tutto ciò che era popolare e, quindi, il calcio, le canzonette, il cinema e si spingeva a dire che difficilmente il popolo sbaglia; invece – aggiungeva – la sinistra non pensa al popolo, bensì ai miti popolari: a Benigni a Baricco, ai totem culturali delle professoresse democratiche.
Io devo confessarvi che mi sta sul cazzo praticamente tutto ma non è il caso di farne un dramma, meglio ridere su questa Italia da piangere. Happy hour.