“Il mondo del Vino è complicato! Capita spesso di chiedermi se i sommelier sentono veramente tutti quei profumi o se ci prendono solo in giro, con tutte quelle parole, tipo acidità, armonico, bocca, bouquet, duro, caldo, finale, morbido, secco ecc..” si chiede l’autrice teatrale, recitando in un simpatico spettacolo sulle parole del vino.
In effetti le degustazioni guidate dai professionisti del vino, giornalisti, blogger, sommelier, sono spesso pedanti. L’uso di un linguaggio che più che tecnico potremmo definire settario e la prosopopea con cui lemmi semplici vengono fatti assurgere a parole complesse e misteriose, inducono di frequente ben predisposti ricercatori del piacere del vino a sentirsi degli imbecilli, figli di un dio minore e ignorante. Le degustazioni condotte dagli esperti sovvertono, troppo spesso, il senso storico e culturale del dono di Dioniso: il piacere, il convivio, la conoscenza.
Nella letteratura classica, antica e moderna il vino è alternativamente rimedio ai mali dell’anima, farmaco curativo, compagno di discussioni politiche e filosofiche, nettare per le libagioni, partner di incontri licenziosi, bevanda che facilita la disinibizione, frutto del dono divino della conoscenza. Per secoli il vino è stato veicolo di piacere; nel buio dei tempi moderni il vino è anche lo strumento usato da taluni per ritagliarsi il ruolo del professorone vecchio stampo, quello che umilia gli allievi.
Beninteso, agli operatori (produttori, distributori, enotecari, ristoratori) le valutazioni tecniche dei degustatori ufficiali sono necessarie e necessario è riconoscersi in un sistema di classificazione basato su un glossario condiviso.
In epoca latina gli haustores romani avevano il compito di degustare il vino consegnato al fisco dai contribuenti. La degustazione, dunque, da sempre e a tutte le latitudini ha un valore materiale, economico, tangibile.
E’ fuori dal mondo professionale che il riconoscimento delle caratteristiche del vino va veicolato con atteggiamenti e parole semplici. Con una cultura, soprattutto, che non sia meramente tecnica: “il vino non vuole soltanto l’acqua della miscela, ma anche la conversazione” afferma Callimaco delle Origini.
La ricercatrice Silvia Gilardoni e il suo gruppo di studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno svolto un’approfondita ricerca terminologica sulle parole impiegate nelle schede di degustazione delle principali associazioni di degustatori, giungendo alla conclusione che i termini usati per classificare un vino sono aggettivi comuni polisemici, ossia capaci di avere di diversi significati. Gli studiosi concludono che tutte le parole del vino, con l’esclusione di tannico e abboccato, sono sostanzialmente metafore che nel caso dell’esame gustativo alludono a caratteristiche fisiche del corpo (debole, fiacco, esile, magro), a comportamenti (vivace, tranquillo), a parametri dimensionali (corto, lungo). Non esiste, allora, possiamo dire un linguaggio tecnico proprio del vino.
Nel corso di una recente degustazione molto partecipata e poco cattedratica, un’anziana signora ha descritto un vino bianco usando una stella che era sul suo tavolo, lì posta per aiutare il pubblico ad esprimere la sensazione di spigoloso. La gentil donna, di evidente grande capacità emotiva, ha spiegato, con bellissima metafora, che la stella esprimeva il vino in quanto quel vino le pareva brillare al pari di una stella. Brillante è, appunto, uno degli aggettivi metaforici usati dai sommelier per descrivere una specifica caratteristica del vino, nell’ambito dell’esame visivo.
L’episodio induce a ritenere che la possibilità di ciascuno di comprendere le caratteristiche del vino è strettamente correlata non solo e non tanto alla raffinatezza delle proprie papille gustative o dei ricettori olfattivi, quanto alla ampiezza del proprio universo emotivo, alla propria sensibilità d’animo e finezza d’intelletto.
Per il grande pubblico del vino occorre aprire una via alla degustazione emotiva capace di tenere tutti legati al bicchiere senza gerarchie, senza paroloni misteriosi e in fondo colmi di allusioni comuni.