di Gennaro Malgieri
I “sovranisti” nostrani hanno una concezione piuttosto limitata della sovranità, sempre che ne abbiano approfondito gli elementi costitutivi (i dubbi al riguardo sono leciti). Ritengono, infatti, che la loro azione si esaurisca nella polemica contro le istituzioni comunitarie fondate su Trattati sottoscritti liberamente dagli Stati membri, il che non vuol dire che non possano essere rivisti, ma secondo modalità e procedure previste dagli stessi. E vi aggiungono una radicale avversione a tutto ciò che concerne il variegato e complesso mondo dell’immigrazione: una riedizione della difesa ottocentesca delle frontiere nazionali come se la storia si fosse fermata al tempo delle guerre d’indipendenza. Non ritengono, con tutta evidenza, che la sovranità dei popoli è semmai minacciata non da potenti eserciti o da velleitari lanzichenecchi, ma da soffici soggetti che tendono ad omologare culture, usi, costumi fino a creare una sorta di recinto nel quale il “pensiero unico” è il parametro di giudizio dominante.
Infatti, i “sovranisti” italiani, lungi dal prendere in considerazione la potenza di organizzazioni economiche e mediatiche capaci di offrirsi con allettanti proposte fintamente libertarie, si rivolgono all’opinione pubblica paventando la preoccupante prospettiva della “sostituzione etnica” (che può verificarsi, beninteso, soprattutto se non si attivano politiche demografiche in grado di salvaguardare i diritti di tutti i popoli senza discriminarne alcuno, difendendo le loro tradizioni e specificità), ma non curandosi affatto che la “sostituzione culturale” è già in atto. E chi la porta avanti con successo? Lo sanno bene anche loro, i “sovranisti”, ma se lo nascondono però, forse per inconfessabili motivi ideologico-strategici. Sono i grandi gruppi che indirizzano l’opinione pubblica: Google, Facebook, Microsoft, Instagram e via seguitando. Hanno costruito il loro potere saccheggiando ciò che fino a qualche decennio fa era impensabile: i prodotti immateriali. Utilizzandoli come vogliono, infatti, hanno realizzato imperi talmente estesi da condizionare politiche governative e perfino visioni del mondo. Con la fatica altrui, senza tirar fuori il becco d’un quattrino, hanno dispiegato le loro fortune ben oltre i confini economico-finanziari.
I “sovranisti” italiani non ritengono che l’opera di depredazione sistematica dei prodotti dell’ingegno da parte dei citati colossi mediatici offendano gli operatori della cultura e dell’informazione, oltre che gli Stati: tutti, a diverso titolo, ricaverebbero sostanze non indifferenti se il vecchio copyright venisse rispettato; copyright, per inciso, inventato alla fine del 1400 dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Al Parlamento europeo, i sedicenti difensori delle identità hanno calpestato le identità stesse votando contro il provvedimento che stabilisce la giusta remunerazione per i contenuti informativi, senza minimamente sospettare (si fa per dire) che la sovranità culturale viene ben prima della fumosa ed indefinita sovranità da loro sostenuta.
Si è verificato, come tutti possono constatare, nel campo dell’utilizzo selvaggio dei diritti d’autore uno squilibrio di potere che ha portato Google, Facebook et similia ad influenzare la politica con la stessa forza dei colossi petroliferi come la “Big Oil” e farmaceutici come la “Big Farma”. Cinquanta miliardi di dollari all’anno sono stati sottratti ad artisti, scrittori, giornalisti, editori dalle piattaforme digitali monopolistiche che agiscono come armate nell’orientare opinioni e gusti che a loro volta “finanziano” inconsapevolmente altre multinazionali nel campo dell’alimentazione e dei consumi in genere. Anche per questa via la nostra privacy è messa a dura prova, quando non è già stata sconfitta.
Tutto ciò suggerisce qualcosa ai “sovranisti” nostrani? La “pirateria” – perché di questo si tratta – in ambito editoriale e culturale non soltanto riduce il diritto alla riservatezza, ma anche il diritto della creazione intellettuale a vedersi riconoscere il suo valore non soltanto platonico. Secondo la rivista “Forbes”, nella lista dei primi sessantadue più ricchi del mondo, ben ventisei hanno accumulato averi sconfinati grazie al comparto mediatico-tecnologico. Sono i nuovi padroni del mondo. A Strasburgo non tutti ne sono stati consapevoli. I “sovranisti” italiani, per esempio, che hanno votato affinché le fortune dei governati del “pensiero unico” non venissero intaccate.
tratto da “Il Dubbio”