di Giancristiano Desiderio
Il duro scontro in atto tra ministro degli Interni e procura di Agrigento ripropone, ancora una volta, il conflitto tra la politica e i giudici. Non bisogna, però, ricondurre lo scontro di oggi a quanto avveniva ieri. I governi Berlusconi, infatti, quelli contro i quali le toghe rosse hanno dato il meglio di sé, erano “corrotti” e “ingiusti” per definizione e, dunque, la crociata giudiziaria era sacrosanta. Il governo Renzi era una sorta di succedaneo dei governi Berlusconi e il tentativo, da parte di Renzi, di usare a sinistra le ragioni della destra, limitando anche il giustizialismo quale arma politica illegittima usata e abusata dalla sinistra, si è scontrato sia con i magistrati sia con il giacobinismo del M5S che ha portato al massimo grado di perfezione la demagogia giustizialista. Lo scontro in atto, dunque, non ubbidisce allo schema tanto semplice quanto falso di buoni e cattivi, onesti e disonesti bensì a quello tra giusti e giusti, onesti e onesti. Il ministero della Lega e del M5S si è autodefinito “governo del cambiamento” o “governo sovranista” o “governo degli onesti” o “governo dei cittadini” che sono tutte espressioni che oltre a non dire nulla intendono dire che ora gli italiani – gli italiani onesti e giusti – hanno preso il potere e sono intoccabili perché fanno per definizione solo cose oneste e giuste. Qualunque esse siano. Insomma, il governo della Lega e del M5S è l’esecutivo con cui il giustizialismo è andato al potere e può fare giustizia di tutto perché è inarrestabile. Questo è il fondamento della stupida Terza repubblica.
Questa differenza tra ieri e oggi è non solo importante ma decisiva se si vuole capire cosa sta accadendo e a cosa siamo destinati. Il governo giustizialista, infatti, avendo introiettato la logica giudiziaria pensa e agisce secondo colpe, reati, imputazioni, ingiustizie. I ministri non ritengono di essere amministratori e uomini di azione fallibili come tutti noi, ma superuomini di pensiero e di azione che sono infallibili perché le loro scelte da una parte condannano le colpe di chi ha governato fino a ieri e dall’altra sono legittimate dalla illimitata sovranità popolare. Non a caso le prime parole di Matteo Salvini rivolte alla procura agrigentina sono state: “Non mi fermo, possono arrestare me, ma non la voglia di cambiamento 60 milioni di italiani” (esagerazione grossolana dovuta sia alla megalomania sia alla emozione del momento).
Se le cose stanno così, allora, l’intervento della magistratura oggi è da un lato vano e dall’altro lato è diverso rispetto al passato. E’ vano perché la magistratura per il troppo uso è diventata politica e la politica ha creato il governo giustizialista; è diverso perché il magistrato vuole porre un argine o un limite all’azione del ministro che crede di poter agire senza limiti. Noi oggi – tutti noi, una nazione intera al cospetto dell’Europa e del mondo – stiamo toccando con mano l’importanza liberale dei limiti che per troppa tracotanza politica, giudiziaria, intellettuale, non abbiamo voluto comprendere in passato pensando che ci siano governi giusti e governi ingiusti e basta stare dalla parte giusta per risolvere tutto. Questo è tribalismo. Come se ne esce? Non lo so. Non senza pazienza, non senza sacrifici, non senza pagare il prezzo degli errori.
Il problema che abbiamo davanti non è solo quello di fermare Salvini ma quello più ampio di capire come limitare l’idea del governo senza limiti. Per certi versi, Salvini siamo noi allo specchio (mi ci metto pure io, anche se sono un sopravvisuto). Proprio così: in Salvini si specchiano anche i suoi oppositori, gli antirazzisti, gli umanitari, i buoni, quelli che con i loro tenerissimi sentimenti di giustizia politica hanno armato il sovranista governo giustizialista.
La infelice vita pubblica italiana diventerà un po’ più decente quando qualcuno dirà la verità in pubblico: il governo, qualunque esso sia, non può fare tutto e, anzi, deve governare il meno possibile. Il governo sovranista in questo è esemplare: gode di poteri illimitati che sono meravigliosamente inutili. Anzi, più sono illimitati e più sono dannosi. Il caso della nave Diciotti e degli immigrati sta qui a dimostrarlo. Opporsi al ministro degli Interni sul piano umanitario non ha molto senso giacché il problema che crea Salvini è politico: non ha risultati e con la logica del capro espiatorio va alla ricerca del colpevole di turno che ora è l’Europa, ora è il Pd. Lo stesso meccanismo è all’opera con i vaniloqui di Luigi Di Maio che va a caccia di imputati e non conosce l’abc della sua materia ministeriale. La soluzione unica che il governo sovranista-giustizialista ha per tutto è la nazionalizzazione che, invece, è esattamente l’origine dei problemi nei quali ci dimeniamo perché nazionalizzare significa dare a uno il potere di tutti per intervenire nelle nostre vite senza poter far ricorso alle libere scelte.
Purtroppo, molti di coloro che si oppongono all’acefalo governo Conte ne condividono lo spirito statalista e credono in maniera feticista che statale è meglio di privato, che la redistribuzione è giusta e la produzione è ladra, che il pubblico ci salva e l’economia di mercato ci danna. Cambiano i colori e le fazioni e gli schieramenti e gli insulti ma la cultura politica arcaica e illiberale rimane la stessa con il solito ritornello: lo Stato ci deve salvare.
Con queste idee siamo arrivati fin qui: a pensare di creare un potere illimitato per la soluzione dei nostri problemi. Per uscirne dobbiamo essere disposti a pensare il contrario: volere un governo limitato che lavori su poche cose certe e lasciare a noi stessi la libertà di governare la nostra vita senza risentimento per i fallimenti propri e i successi altrui.