di Guido Bianchini
A Benevento, non solo nei quartieri popolari, si vive di pane e pallone. Il calcio è un forte catalizzatore sociale, quasi il collante più forte di un tessuto sociale, tendente, su altri fronti, alla disgregazione e ai distinguo continui. Il materiale si passa di generazione in generazione, come fosse epica greca, memoria orale dell’ epopea di un popolo. Accanto ai cantori c’è ,tuttavia bisogno di scrittori, di tracciatori sapienti di segni fissi e indelebili, capaci di mettere ordine in questo immenso patrimonio di parole volatili, mai sistematizzate. È la ragione per cui tutti i manuali di letteratura greca iniziano con Omero e, attribuiscono a tale figura, dibattendo ancora sulla sua reale esistenza, l’essenziale compito di essere stato l’iniziatore della più grande civiltà letteraria del mondo antico. Se un giorno a qualcuno venisse in mente di scrivere un manuale di letteratura calcistica sannita, il capitolo iniziale spetterebbe di diritto a Nicola Russo, l’Omero del calcio tra Sabato e Calore.
Il proliferare attuale di giornalisti sportivi, veri o presunti, competenti o semplicemente desiderosi di visibilità, non sarebbe stato possibile senza il coraggio di quel pioniere dagli occhiali spessi. Se ora è facile scriverne, anzi per certi è diventata l’architrave imprescindibile di ogni testata locale, allora era poco più che una scommessa. Non si trattava semplicemente di giustapporre parole, ma di guadagnarsi credibilità, di sfatare il mito da bar, poco greco e molto beneventano, per il quale tutti parlano e capiscono di calcio, per cui farlo di mestiere è quasi un vezzo superfluo. Nicola Russo, invece, proprio come il gran ascoltatore Omero, sapeva far tesoro degli echi da bar, li registrava e li interpretava, mettendoli su carta, affinché chiunque amasse il Benevento potesse riconoscersi nelle sue parole, anzi, visti i limiti di una scolarizzazione ancora non così diffusa, potesse prendere in prestito le sue parole per descrivere le emozione della passione da Stregone. Il fiume di parole con il quale spesso investiva i suoi interlocutori è la testimonianza viva di un interesse ad intercettare sul campo gli umori della piazza, non sottraendosi mai al confronto con il popolo dei pallonari, unici veri giudici, nel bene e nel male, del suo operato. Un ruolo socialmente molto importante, autenticamente culturale, mosso dalla volontà di far sapere, prima ancora di lanciarsi in commenti, quali fossero state le sorti dei giallorossi, perché consapevole di quanto gli appassionati ne avessero bisogno, per dare la stura al dibattito pallonaro. Il suo Sanniosport, foglio di quattro facciate distribuito gratuitamente allo stadio, potrebbe far ridere i lettori tecnologici d’oggi, ma allora era il simbolo di questo spirito di servizio alla comunità che l’informazione dei nostri tempi sembra aver perduto. Formazioni, interviste pre-partita, commenti sempre enfatici anche quando si giocava contro illustri sconosciuti, erano racchiuse tutte lì per preparare al meglio all’evento in programma, come sapeva fare solo un buon maestro elementare che spiega luoghi e storia prima della gita imminente.
Gli si farebbe però gran torto se lo si riducesse soltanto a paroliere del pallone. Nicola Russo è stato il primo a capire che il calcio a Benevento va ben oltre lo sport: è universo semantico e sociale utile a raccontare una città in tutte le sue sfaccettature, come provava a fare nel suo Salotto televisivo, mai monotematico, dal quale molti fanatici del giornalismo sportivo, convinti che da queste parti tutto graviti attorno ad un pallone avrebbero ancora molto da imparare.
L’esempio più lampante di questo suo modo di vivere e raccontare il calcio sono i volumi “Il Benevento e la sua storia”, in cui il giallorosso è solo un pretesto per descrivere l’evoluzione di una città e della sua comunità. Il susseguirsi di pubblicazioni analoghe negli anni successivi, rischiava di far passare tale lavoro certosino in secondo piano, ma crediamo sia da considerarsi il Libro della Benevento calcistica. Una sorta di Bibbia del pallone, perché testimonianza della storia e della fede di un popolo. Uno strumento da rispolverare perché ha permesso ha chi ha vissuto quegli albori di tenerne vivi i ricordi, arricchendoli con i propri e potrebbe essere utile ai più giovani per capire su quali valori si reggono i fasti di oggi.
In fondo, come sapeva bene Omero, la forza e la resistenza di un racconto è tutta nella capacità di saperne generare ed evocare infiniti altri. C’è dunque da augurarsi che Nicola Russo, terminato il suo viaggio terreno, possa sedersi in un grande bar sport e abbracciare nuovamente i suoi primi affezionati lettori e spettatori , che magari lo accoglieranno con gioia esclamando: “Nicò scriv nu poc stu fatt…”