di Giancristiano Desiderio
Francamente, vi devo dire che quando ho saputo dell’arresto di Paolo Di Donato mi è salita alla mente in modo spontaneo la canzone Paolo Pa del Banco del Mutuo Soccorso. In fondo, anche Paolo – il famigerato e pur simpatico “re dei profughi” o dei migranti – ha fondato un banco o un bancone o un barcone di mutuo soccorso. La canzone, poi, è preveggente e lungimirante. Paolo, Paolo Pa, Paolo maledetto, ma perché non l’hai, perché non l’hai detto. Perché il problema è tutto qua: se lo avessi detto sarebbe venuto giù di tutto, compreso il governo. Invece, ti sei imbarcato, proprio come un profugo, in una cosa più grande di te e quando è finito il governo è finita anche, come dice il neoministro Salvini, “la pacchia”. Paolo, Paolo Pa, la tua esposizione mediatica – si chiama così, è un italiano di merda ma è così – ti ha fatto diventare una preda inseguita e prelibata e poi vestito d’angelo assassino, e quel trucco invadente. Perfetto. E’ difficile da noi in periferia, qui la gente non capisce e fa la spia, più discreta, più eccitante è la città, puoi fare una pazzia. Sì, perché c’è della pazzia in tutta questa storia, ma pensare che la colpa sia tutta del Re è la vera pazzia collettiva.
Ora che Paolo Di Donato è stato arrestato – è ai domiciliari, a meno di venti metri da dove scrivo – siamo tutti più sicuri: noi, la società, gli inquirenti e quei ragazzoni neri che vedo nei paesi nostri in giro con un volto insieme compiaciuto e triste. Mi aspetto che ora siano accolti tutti in hotel a cinque stelle. Però, ho un dubbio. Perché è stato arrestato solo ieri, 21 giugno 2018, se la richiesta di arresto risale addirittura al 15 novembre 2017? Quando c’è una richiesta di arresto significa che c’è un pericolo attuale, imminente, e questo pericolo è stato lasciato a piede libero per ben otto mesi. E’ passata un bel po’ di acqua sotto i ponti e sono cambiate un po’ di cose, si è andati a votare, c’è stata una crisi istituzionale, poi finalmente un nuovo governo e poi, solo poi, sono giunti agli arresti. Ma insieme con il re – ecco un’altra cosa che fa pensare, non solo me, spero – sono finiti ai domiciliari anche altre persone (41 gli indagati complessivi): cinque e di queste cinque ben tre sono non espressione della società ma dello Stato: un carabiniere, un funzionario di prefettura, un dipendente del ministero della Giustizia (e altri ancora da medesimi ambienti statali). Mi ha colpito quanto ha detto ieri il procuratore Policastro in conferenza stampa: tutte le istituzioni presenti a questo tavolo sono coinvolte con propri rappresentanti in questa azione di infedeltà che ha procurato peraltro grave ostacolo all’attività giudiziaria.
Insomma, la magistratura si è trovata a dover indagare in casa propria – è lei stessa un organo dello Stato – e ha dovuto prendere provvedimenti su uomini delle istituzioni. E, allora, se tanti uomini delle istituzioni sono coinvolti in questa storia truffaldina, come è possibile che si parli di un “sistema Di Donato” e di Paolo Di Donato come il dominus dell’azione? Piuttosto, sembra evidente che ci si trova davanti non a un boss della malavita o un genio del male ma a un sistema di massima inefficienza delle stesse strutture amministrative dello Stato che hanno gestito, quasi sempre in emergenza, il fenomeno dell’immigrazione.
Io ricordo molto bene, per puro vizio di cronista, che nei giorni caldi degli arrivi e degli sbarchi si susseguivano riunioni a Roma, a Napoli e anche in prefettura a Benevento. Era tutta un’emergenza e il ministero aveva un’esigenza: trovare un posto ai migranti, un posto quale fosse, anche quelli messi a disposizione da Paolo Di Donato che, evidentemente, in quel momento sarà stato anche brutto sporco e cattivo – maledetto come Paolo Pa – ma ritornava utile per risolvere il problema. Paolo Pa diceva anche che non sapeva come fare, dove metterli i migranti, lo diceva pubblicamente alla prefettura, a tutti, a chi ascoltava e chiedeva di chiudere delle strutture, ma i migranti piovevano dal cielo, non venivano solo dal mare e lui era buono a fare un lavoro sporco che risolveva un problema di emergenza. A chi? A chi lo risolveva il problema? Allo Stato, al governo, al ministero. Vi potrà piacere o no, ma questa è la storia che abbiamo alle spalle, da qui veniamo tutti, ed è una storia che tutti – tutti – conoscevano e che ora, una volta che i musicisti sono cambiati, ci stiamo raccontando molto, molto male dicendoci che l’unico responsabile o i soli responsabili sono quelli ai domiciliari. Questa è la storia che non si spiega e non si capisce con la storiellina della legalità. Questa è roba per le anime belle o per chi è in cerca di capri espiatori. Che brutta storia. Che brutta storia questa, non la precedente. Il racconto è quasi sempre peggiore dei fatti. Perché è aggiustato, è un racconto di comodo.
La magistratura, come si dice in questi casi, farà il suo lavoro. I fatti processuali avranno il loro corso e poi si vedrà. Ma i fatti politici, beh, quelli per favore raccontiamoli bene. E tenetevi dentro la voglia di gogna, che è la cosa più indecente che ci sia, sempre.
Paolo, Paolo Pa, Paolo maledetto