di Amerigo Ciervo
In questi giorni un po’ tristi, esaurite le pratiche a cui l’organizzazione scolastico-burocratica ci costringe a fine anno e, nell’attesa del rituale dell’esame di stato, è possibile – finalmente – dedicarsi all’altro aspetto del nostro lavoro di docenti, ossia a lavorare su qualche testo, a leggere un po’ di libri, a ripensare a quanto svolto e a buttare giù qualche appunto. M’è capitato, per caso, di riprendere in mano la mia tesi di laurea e dentro, accanto a Hegel, Strauss, Feruebach e Marx vi ho riscoperto – in verità, non l’avevo mai dimenticato, Dietrich Bonhoffer, il pastore artefice della Resistenza al nazismo, impiccato, con una corda di pianoforte, a Flossenburg, il 9 aprile del 1945, insieme al generale Olster e all’ammiraglio Kanaris
In una certa fase della sua vita, Bonhoffer, giovane e brillante teologo della Chiesa confessante (“Se non fosse stato per la Chiesa confessante, noi cristiani non avremmo più il diritto di guardare in faccia un ebreo, disse don Milani), che lo aveva inviato a New York, proprio per preservare una delle sue voci più alte, decide di ritornare in Germania. La vita in un posto indifferente gli risulta insostenibile. Ritiene di poter organizzare meglio quelle ore in Germania. Perché decide in tal senso? “Solo Dio lo sa. In tutte le mie decisioni i motivi non mi sono mai pienamente chiari. E’ forse un segno che siamo guidati, più di quanto non ci si renda conto.” La domanda che egli si pone (che è quella che dovremmo porci tutti) è: possiamo ancora risultare utili a qualcosa?
Siamo muti testimoni di azioni malvagie. Le esperienze della vita ci rendono via via sempre più diffidenti e indifferenti. Sovente siamo in debito, con gli altri, di parole di verità e di libertà. Conflitti complicati ci hanno fatto diventare cedevoli o, addirittura, cinici. Sapremo ritrovare la via della chiarezza e della giustizia? Che fare, dunque? Bonhoffer è un teologo cristiano e lo snodo della sua riflessione è rappresentato dalla riflessione su una parola, “responsabilità”. Ha studiato Max Weber, che non è eccessivamente indulgente con il Cristianesimo. A giudizio del grande sociologo, spesso vivere solo enunciando principi sublimi e alate parole non porta a niente. E la realtà resta sempre la stessa. Immutabile. La responsabilità, viceversa, dovrebbe spingerci a calcolare gli esiti dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Fino a quando il bene avrà successo, pensa il teologo protestante, possiamo permetterci il lusso di ritenere il bene eticamente rilevante. Ma quando capita – e, noi lo sappiamo, capita – che, per arrivare al successo, si utilizzino strumenti malvagi, allora la questione non è più rinviabile. Che fare, dunque? Si può restare alla finestra. Voltarsi tranquillamente dall’altra parte e, secondo Marx, continuare, come una mucca, placidamente a brucare. Ragionandoci sopra, emergerebbero i due estremi del problema: la limitatezza delle critiche astratte e l’accettazione acritica e opportunistica del successo. L’idea giusta, invece, secondo Bonhoffer, è che non ci si debba comportare né come “critici offesi” né come degli opportunisti, ma come uomini corresponsabili. Chi, davanti a un’inevitabile sconfitta, scegliesse di eroicamente soccombere, farebbe un discorso davvero poco eroico. Il responsabile è quello che guarda verso il futuro. Non si domanderà, dunque, come potrà eroicamente cavarsela, ma come dovrà continuare a vivere una generazione futura. Responsabilità significa allora guardare al futuro, e per fare ciò non si dovrà temere di sporcarsi le mani nella storia. A maggior ragione, i cristiani. Che non possono sedersi tranquilli sugli spalti, aspettando prima la conclusione della gara e poi scegliersi la squadra per cui tifare. Solitamente, la squadra vincente. No, si scende in campo e ci si schiera con una squadra. Di solito con la più debole, e si gioca la partita. Sapendo che non esiste la possibilità di restare puliti. Che ritorneremo negli spogliatoi forse sconfitti, sporchi, sudati, e, magari, con un ginocchio in disordine. La storia è lacrime, sudore, sangue. Come la politica.
Leggendo le vicende delle trame segrete, nelle quali il teologo di Breslavia si tuffa, da un certo periodo in poi, con Olster e Kanaris, neppure esitando nella simulazione doppiogiochista – cosa che dovrà spiegare al suo grande maestro, Karl Barth, rimasto basito nell’apprendere certi movimenti – si scopre un Bonhoffer diverso. C’è stato un tempo, sostiene, in cui il compito del Cristianesimo è stato quello di rendere testimonianza all’eguaglianza degli uomini. Oggi occorre risolutamente lottare per il rispetto della “distanza fra gli uomini” e per “un nuovo stile di nobiltà”. E’ necessario perché l’irrazionalismo plebeo e la mancanza di riflessione spingono a palesarsi, sul palcoscenico della storia, le nuove compagnie del caos. Ma, attenzione, perché, con l’aggettivo “plebeo”, Bonhoffer intende una serie ben lunga di fenomeni che i suoi tempi (solo i suoi tempi?) fanno evidenziare in grande copia: l’incultura di chi esprime le sue idee con un mazzetto di frasi fatte, il non tener fede alla parola data, il cambiare velocemente idea senza neppure avvertire la necessità di giustificarsi, la sostituzione dell’argomentazione logico-razionale con la violenza, il ricorso alle piazze come arma di ricatto nei confronti delle istituzioni, l’assistere, prima silenziosamente, e poi partecipare direttamente allo sterminio. Per contrastare tutto questo, ci si sporca le mani, opponendo al plebeismo una nuova nobiltà. “Si tratta di riscoprire in tutta la linea esperienze di qualità ormai sepolte, si tratta di conquistare un ordine fondato sulla qualità. La qualità è il nemico più potente di qualsiasi sorta di mistificazione. Dal punto di vista sociale significa rinunciare alle posizioni preminenti, rompere con il divismo, guardare liberamente un alto e un basso. Significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica. Dal punto di vista culturale significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura. Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda”. (Dietrich Bonhoffer, Resistenza e resa)
Non appare proprio necessario aggiungere altro.