di Amerigo Ciervo
“Smettiamola di fare filosofia” e “Non fare il filosofo” sono due espressioni spesso usate, nel linguaggio comune, per invitare l’interlocutore a scendere dalla “pianura della verità”, ovvero dal mondo ideale – in cui Platone, come racconta la storia del pensiero filosofico dell’Occidente, nel IV secolo a. C., ha sistemato le certezze assolute, le forme eterne – alle ben più concrete cose delle vita reale. Proverò a mettere in crisi le due frasi, utilizzando il tema centrale della discussione politica di questi giorni perché l’idea che mi sono fatta è che di “costruzioni ideali” siano responsabili, più che i filosofi con la testa fra le nuvole, alcuni protagonisti della politica italiana. Ovviamente di politica, secondo me, in tali discussioni non si trova proprio nulla. Ci si trova, viceversa, molta propaganda. Ci proverò, allora, per tentare di restituire alla filosofia e, soprattutto, alla politica, un qualche briciolo di utilità e, quindi, di dignità.
La potentissima tecnica comunicativa, utilizzata, in buona sostanza, come arma di distrazione di massa dai reali problemi italiani, sul tema delle migrazioni si regge, in verità, sulla distanza, precisamente quantificata dai tecnici della statistica, che intercorre tra la arida prosa dei dati numerici e la cosiddetta “percezione del problema”.
Ora, nel linguaggio della filosofia, con il termine “percezione” designiamo, di solito, sia le esperienze conoscitive o le azioni intellettuali che non coincidono con gli atti della volontà (rientrando a casa a notte fonda, quando abitavo a Moiano, la vigilia dell’otto settembre, un certo profumo, intenso e penetrante, mi faceva “percepire”, senza la mia volontà, che mia madre aveva avviato la preparazione del ragù alla genovese per il pranzo festivo del giorno della festa) che l’azione conoscitiva con cui viene avvertita la realtà di un dato preciso, con un atto soggettivo, distinto dalla pura sensazione, che implica, nonostante la sua rapida istantaneità, un processo di organizzazione e di interpretazione di molteplici sensazioni, anche alla luce di ricordi o di esperienze passate. Mi reco in farmacia per i medicinali per la pressione, esco dal supermercato con la megaspesa del sabato, entro al bar per un aperitivo con un amico: in tutte e tre le situazioni trovo un giovane di colore che mi chiede una moneta. In mattinata, prima di uscire, guardando distrattamente la televisione, ho sentito un signore della Lega parlare di “invasione”.
Più tardi leggo la dichiarazione di una senatrice beneventana (notoriamente, per sua costante ammissione, cattolica, e sempre in prima fila, come raccontano le foto molto spesso pubblicate, quando si tratta di mostrare la propria fedeltà alla chiesa) riportata in un sito on line: “Salvini sta alzando la voce? Fa bene, perché noi siamo pieni di migranti in ogni luogo”. Tutte queste esperienze non potranno che portarmi a “percepire” che siamo davvero di fronte all’invasione. E poiché amo il mio paese, la sua lingua, le sue tradizioni e, in più, sono anche un buon cattolico – non mi perdo una messa e, a Pasqua, assolvo anche al precetto – mi convinco che dovrò fare qualcosa per bloccare l’invasione. Frattanto comincio a postare tutto il postabile. E se, per ipotesi, quel mio amico su FB mi mostrasse, con qualche dato difficilmente oppugnabile che, forse, le cose non stanno proprio così, riaffermerei con forza la mia percezione. Come l’aristotelico che, a chi gli chiedeva “s’ei restava ben sicuro”, visto che “l’origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore”, rispose: “Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera”.
Ora, scendendo alle cose concrete della realtà, i dati dell’ISTAT e del Ministero dell’Interno, aggiornati al 1 gennaio 2017, ci dicono chiaramente come, in Italia, le risposte al sondaggio, per esempio, su quanti siano gli immigrati musulmani, ci diano una “presenza percepita” pari al 20%, a fronte di una “presenza reale” del 4%: cinque volte più del dato reale. E’ la percezione a farci ritenere (e dire, senza paura) che, in Italia, gli immigrati musulmani sono oltre 12 milioni e mezzo e non i 2.800.000 presenti realmente.
Per cui la domanda che dovremmo porci è: chi “fa – davvero – filosofia” secondo il senso “errato” del linguaggio comune? I filosofi (e, in subordine, i docenti di filosofia) o i propagandisti, quei signori che, per citare l’ottimo intervento dell’arcivescovo Accrocca, “costruendo le proprie fortune elettorali sulla sorte dei disperati”, compiono un’azione fortemente immorale?
Non c’è dubbio alcuno sul fatto che, a fondamento della politica, non possa, non debba esserci che l’etica. Sicché sarà proprio l’unico strumento di cui disponiamo, ossia la ragione, attraverso il suo uso indipendente e critico, a doverci guidare in momenti come questi, quando le terribili, infernali folate d’irrazionalismo sembrano travolgere anche le menti più insospettabili. Allora vincere la sfida della disumanità, ovvero dell’etica schiacciata e derisa, come si augura Marco Revelli, sarà possibile solo se si vincerà la sfida dell’irrazionalità, ritrovando, tra tutti quelli che tale sfida fossero intenzionati a vincerla, una ragionevole unità di fondo intorno ai principi e ai valori del rispetto, della solidarietà e dell’uguaglianza. E, of course, della conoscenza. Siamo dentro uno snodo della storia. Due visioni antitetiche del mondo, “l’una contro l’altra armata”, si contrappongono. L’ineffabile ministro Toninelli ha sostenuto che, con il loro governo, “sta soffiando un vento nuovo”. E’ bene gridarlo forte, tutti insieme: questo vento, impetuoso e maleodorante, non ci piace e, ancora tutti insieme, predisporre le difese più idonee per preservare e curare la nostra casa comune.