Giancarlo Alfano, grande conoscitore dell’enologia ligure e delegato AIS di Savona, dice che il signore delle Cinque Terre vive a Framura. Bisogna sconfinare oltre le Cinque Terre, verso nord ovest, giusto qualche chilometro dopo Monterosso, per arrivarci. Come per Vernazza (di cui abbiamo parlato qualche settimana fa), come per tutti borghi di questa striscia di terra stretta tra gli impervi, scuri rilievi dell’Appennino Ligure e il mare, la strada carrabile scorre sulla montagna e si butta a mare al culmine di ripide, strette e tortuose discese. I borghi si dipanano lungo queste calate, per uscirne occorre risalire o prendere la via del mare o la via ferrata per La Spezia o Sestri Levante. Si esce si, ma solo fisicamente perché la malìa di questi luoghi non abbandona chi ne soccombe. Framura è peculiare giacché non ha un vero centro, è un paese diffuso, composto da cinque agglomerati, struggenti di verde, bordi blu (il cielo e il mare), silenzi, fruscii, intonaci fiabeschi, vecchi stemmi nobiliari scolpiti sulla pietra ruvida, ferro lucido di rotaie e annerito di piccole sculture. Appena decentrato dal sentiero che collega le cinque frazioni che compongono la località inserita nella lista dei 50 borghi più belli d’Italia, poi si impone un luogo d’incanto ove l’opera di Vico Magistretti ha reso palese come il genio umano possa dar vita a una bellezza artificiale (nel senso di non naturale) che accresce quella naturale. E’ straordinaria l’armonia con la roccia e il paesaggio delle Case Rosse progettate dall’architetto milanese, scomparso solo 12 anni fa, a picco sulla spiaggia nascosta di porto Pidocchio.
Una capretta, che pare smarrita mentre invece incede sicura sugli strapuntini dalla roccia arrossata dal languido tramonto, accompagna dall’alto i passi verso l’ascensore che comodamente ascende dal porticciolo muto e fragoroso di colori, odori e suggestioni al margine di una splendida agave radicata nella pietra, lungo il muro esterno del locale omonimo gestito da Marco Rezzano. E’ lui il signore delle Cinque Terre e la terrazza affacciata su un panorama che restituisce anima e ogni sorta di sentimento umano, per quanto se ne ha, è la sua tana.
La carta dei vini è una mappa enologica della Liguria, zona per zona, comune per comune. Ineguagliabile misura della passione di questo uomo grande, dai tratti aspri addolciti da uno sguardo di delicato come il celeste cristallino dei suoi occhi. Pare racchiudere fisiognomicamente l’essenza della Liguria, ruvida e dolce, forte e fragile.
Il menù è essenziale ma completo, due proposte di degustazione, quattro o sette portate; a la carte tre antipasti, due primi, due secondi, tre dolci.
Asciutte le descrizioni dei piatti, tanto quanto accurata è la selezione degli ingredienti e la costruzione gustativa delle portate, giocata lungo un filo logico preciso e ben chiaro: l’espressione di territorio, storia, tecnica, adeguatezza al gusto attuale. C’è cultura, insomma, nei piatti proposti all’Agave.
Una riduzione di aceto di mele e miele dissacra magnificamente la banalità delle acciughe fritte con erbe aromatiche. La coniugazione di terra e mare rapisce come una droga nei gamberoni, insalata (sapore, non mero colore) e mandorle. Del pari entusiasma il polpo con la prescinseua.
I maltagliati di farine selezionate (ma non c’è scritto nel menù, il che implica almeno due punti bonus) con vongole e asparagi sono saporiti e genuini di sapore marino. Lo sforzo di ricerca storica è forse più solido del gusto del piatto nei corsetti (strepitosa la pasta) al pesto bianco.
Una menzione merita il collo di vitello con cipolla e salsa al prezzemolo, per la cottura della carne e l’equilibrio complessivo dei sapori tutti intensi.
Non violenta il sapore del pesce, esaltandolo invece, l’esecuzione del trancio di dentice arrostito con maionese di rape rosse e verdure.
Ottimi dolci della casa.
Framura e l’Agave di Rezzani meritano il viaggio, si insinuano nelle vene, restano a pulsare.