di Giancristiano Desiderio
L’alleanza di contratto tra il M5S e la Lega si basa su un’ambiguità. Non voglio sostenere, come fanno non pochi, che i due protagonisti della scena italiana sono incompatibili perché la Lega è razzista mentre i grillini sono il fiore della civiltà o perché la Lega è filorussa mentre il Movimento è filoatlantico. E non lo sostengo per il semplice motivo che non è vero. Le due forze hanno le stesse pulsioni xenofobe, gli stessi riferimenti internazionali, la stessa demagogia antieuro, la stessa idea sovranista o bonapartista con cui agitano il mito della “volontà popolare”.
Intendo, invece, evidenziare che esiste un’ambiguità, che riguarda il cuore stesso della politica – la realtà -, che è bene far emergere per capire cosa è accaduto il 27 maggio. L’ideologia ingegneristica e internettiana del M5S – dettata dalla Casaleggio che tiene le fila dei burattini – ha bisogno di neutralizzare o sterilizzare la politica. Questa operazione è stata fatta con il “contratto” – “è il vero leader” recitava il ducetto di Pomigliano -, con il premier-esecutore, con l’assenza di dissenso interno, con la consultazione, per giunta segreta, con la piattaforma Rousseau. C’è, però, un limite che riguarda la stessa azione politica che, come amava dire Hannah Arendt, è sempre un inizio, un mettere-al-mondo.
La sterilizzazione può avvenire sul piano del giudizio che è sospeso: ad esempio, il vincolo di mandato al quale già si sono sottoposti per contratto con una srl gli emissari del M5S in Parlamento (e che in caso di varo del governo sarebbero diventati ministri con tanto di giuramento sulla Costituzione negata dal contratto con la Casaleggio). La sospensione del giudizio, però, non può cancellare la realtà che continua ad esserci fino al punto di batterci il muso. Ed è proprio su questa realtà di fondo che Salvini ha un comportamento diverso da Di Maio e gli Associati: mentre il ducetto si attiene agli ordini che giungono dall’alto dal pianeta Casaleggio, il tribuno leghista assume delle iniziative in proprio con le quali costringe il M5S, di volta in volta, a resettare il computer di bordo.
Il controllo dell’iniziativa politica del nipotino di Bossi, che non vuole più l’indipendenza della Padania rispetto al resto dell’Italia ma dell’Italia rispetto al resto dell’Europa, si è manifestata nelle settimane perdute dietro ai vani tentativi di formare un governo ed è stata come un lampo nel cielo turbato del 27 maggio con il braccio di ferro con il presidente della Repubblica sul nome di Paolo Savona. Un braccio di ferro finto ma pur sempre una sfida in cui, però, il leghista che gioca con la sovranità illimitata aveva a sua disposizione due risultati positivi: ottenere il centrale ministero economico con Savona e il suo famigerato “piano B” oppure la via di fuga dalla responsabilità di governo gridando nelle piazze, su Facebook e in televisione – sempre in monologhi senza contraddittorio – che quei cattivoni dei mercati e di Mattarella non gli hanno permesso di governare.
Il calcolo spregiudicato del leghista, che agita la sovranità a suo uso e consumo per dare agli italiani sicurezza e ricacciare i negri da dove sono venuti, tranne poi scappare a gambe levate davanti alle responsabilità di governo, è un gioco facile perché è una mitologia. La cosiddetta “volontà popolare”, sulla quale il tribuno lombardo si dondola come su un’altalena, che cos’è se non un mito che esiste solo nella immaginazione dei semplici che credono che tutte le loro volontà – il popolo sovrano, la volontà degli italiani, il governo del popolo, spezzeremo le reni alla Grecia e ora alla Germania – confluiscano in un solo uomo o in una superazione di governo? Il mito della “volontà popolare” o della sovranità illimitata è presentata agli italiani come il massimo della democrazia mentre è l’inizio della sua fine e se siamo ancora piedi lo dobbiamo proprio a quello straccio di democrazia rappresentativa (liberale) che ogni giorno di più mi stupisco che riesca ancora a dare i suoi frutti di pace e libertà. Il governo Cottarelli, perfettamente legale e legittimo (che nasca o meno), è uno di questi frutti. E i costituzionalisti della domenica che tifano affinché la democrazia diventi una oclocrazia sono liberi di elevare la propria asineria a diritto costituzionale proprio perché la civiltà nella quale ancora ci muoviamo e innamoriamo riconosce loro il diritto all’errore e alla scemenza che, invece, in un regime da Fuhrerprinzip sarebbe soppresso per “volontà popolare”.
Il toro va preso per le corna. E le corna di Salvini sono ben visibili: è questa mitologia della democrazia illimitata con cui promette l’impossibile: la sicurezza assoluta, la protezione senza errore, l’orgoglio nazionale senza patria. Cosa ha fatto Salvini quando ha avuto la possibilità concreta di governare? È scappato. Se avesse avuto ciò che chiedeva – e chiedeva perché sapeva che non avrebbe avuto – ossia Paolo Savona al ministero economico, ora i primi pagarne le conseguenze sarebbero proprio i tanti elettori leghisti del settentrione che si ritroverebbero con i loro risparmi dimezzati e con la prospettiva di una nuova moneta – la Nuova Lira – deprezzata e un fallimento del debito, questo sì sovrano.
La mitologia di Salvini funziona fino a quando è, appunto, un mito ma si sgonfia e rivela il bluff quando si trova davanti la realtà. Bisogna chiedere al Nord che produce, che lavora, che paga le tasse se vuole finire dritto dritto nella bocca del leone. Dentro la Lega e il suo elettorato c’è una grande contraddizione che finora non è emersa perché la campagna elettorale perenne di Salvini inevitabilmente la copre. Ma la contraddizione si manifesta appena Salvini si avvicina al governo. L’elettorato della Lega dipende più di quanto non immagini la mitologia del Napoleone sulla ruspa dalle banche, dai mercati, dallo spread, dall’euro e lo sconquasso che il “piano B” di Savona avrebbe provocato – oltretutto sleale nei confronti dell’Europa – sarebbe stato un terremoto irrimediabile per le ricchezze private e imprenditoriali del Nord che invece della sicurezza sarebbero precipitate nell’insicurezza. La mitologia salviniana è agitata da intellettuali di serie C, da giornalisti perdigiorno e da tutto un circo che non deve fare i conti ogni giorno con i conti, ma chi lavora e si confronta con il mondo sa molto bene che il mito è contrario ai suoi interessi proprio perché è contrario agli interessi nazionali.