di Giancristiano Desiderio
In una sera di primavera, a tavola, Antonio disse: “Il peggio deve ancora arrivare”. Il peggio è arrivato ma si può fare ancora meglio cioè peggio. Il governo Conte, infatti, si muoverà dentro una contraddizione simile a una camicia di Nesso: da un lato vorrà tener fede al contratto sfascista, dall’altro il premier incaricato garantisce che “l’Italia resterà in Europa”. Le due cose non stanno insieme e con il gigantesco debito pubblico che abbiamo siamo a un passo dalla Grecia se il debito diventa spazzatura che nessuno più acquisterà. Il peggio è la perdita della sicurezza economica e della libertà politica.
Serve capire, se ancora non lo si è capito, cosa abbiamo davanti. Il libro di Jacopo Iacoboni, L’esperimento, consente di comprendere il pericolo (ne parleremo venerdì 25 maggio a Benevento a Palazzo Paolo V con il giornalista, Bruno Carapella, Luigi Diego Perifano, Luigi Razzano). Mi fa piacere partecipare al dialogo per due motivi: perché l’inchiesta di Iacoboni sul Movimento 5 stelle è scrupolosa, chiara, e fornisce gli elementi giusti per capire come “funziona” il partito-azienda ideato e creato da Gianroberto Casaleggio; e perché l’iniziativa, promossa da Luigi Razzano presidente DemOnLine, nasce anche da un mio articolo che scrissi quando lo stesso Iacoboni fu tenuto fuori, per esplicito diktat di Davide Casaleggio, dalla convention di Ivrea. In quell’occasione, appellandomi ai deputati grillini e al portavoce beneventano del M5S, Nicola Sguera – che nel frattempo, deluso per la mancata rivoluzione annunciata, ha lasciato le Stelle – dissi che se si fosse organizzato a Benevento un convegno del Movimento, loro – deputati e portavoce -, forse mi avrebbero tenuto fuori perché di certo non risparmio critiche al Movimento che, per le sue idee e pratiche illiberali, ritengo pericoloso per la democrazia.
Non posso non ricordare a me stesso, infatti, che fin da quando il M5S è approdato in Parlamento nel 2013 con il 25 per cento dei consensi ho individuato nei grillini la volontà, peraltro dichiarata, di colpire al cuore la democrazia rappresentativa per dar vita a una non meglio precisata democrazia diretta che non significa democrazia dritta ma democrazia guidata da qualcuno o qualcosa che non si manifesta pienamente. Già cinque anni fa in molti erano soltanto sopravvissuti e non lo sapevano. Oggi lo sanno ma è troppo tardi. Il professor Conte si appresta a presentare alle Camere il primo governo sostenuto da un partito-azienda in cui l’informatica non è usata per una consulenza prestata a un partito o un leader ma è, invece, essa stessa partito politico con un preciso programma di ingegneria sociale in cui si forma e si distribuisce il consenso. L’esperimento orwelliano, unico al mondo, è esattamente questo. Ed è riuscito.
L’esperimento si fonda su tre pilastri: la Casaleggio Associati, il teatro di Beppe Grillo, il tesoro dei dati. Questi tre elementi messi insieme formano il partito-azienda che ha sì un nome vecchio – che lo porta a confondersi con il partito-azienda di Silvio Berlusconi – ma solo il nome perché il progetto è nuovo e praticando nuove strade e autostrade – la Rete – sfugge completamente alla presa dei partiti classici concepiti ancora leninisticamente. E’ come se si parlassero due lingue diverse di cui una, la nuova, si diffonde più rapidamente perché riesce ad esprimere il sentimento più diffuso: il risentimento. Il governo Conte è, difatti, il governo del rancore, come testimonia la stessa definizione che il professore ha voluto dedicare a se stesso: “Sarò l’avvocato degli italiani”.
Il partito-azienda della Casaleggio Associati si fonda esclusivamente sul consenso. Il dissenso non è contemplato. Chi dissente è espulso. Ad oggi, come documenta Iacoboni, ci sono stati 800 espulsioni. Basandosi solo sul consenso, il partito-azienda che lavora in Rete con i social ha sostituito il pensiero con la propaganda. La sua funzione algoritmica è finalizzata solo alla costruzione del consenso che avviene sulla conoscenza dei dati ossia della “vita degli altri”. Qual è il fine? Non esiste. Il fine è il mezzo. Il partito-azienda, essendo strutturato come un movimento totalitario, ambisce a riprodurre se stesso. Ma la replica esponenziale del M5S è la morte della democrazia rappresentativa che diventa una Piattaforma Rousseau.
Se guardiamo alla situazione che si è creata notiamo che il M5S – insisto sul Movimento e tralascio la Lega perché la Lega è un’appendice populista del M5S – ha già trasformato la democrazia rappresentativa o liberale. Il governo Conte sarà il frutto di una procedura extraparlamentare in cui una rinata partitocrazia battezza la Terza Repubblica che è la riedizione della Prima. Il contratto sterilizza l’azione e l’iniziativa politica con l’egemonia del programma Rousseau. Il capo del governo è un mero esecutore. E’ solo l’antipasto. Infatti, l’esecuzione contrattuale ha elementi così incostituzionali che conducono dritto dritto alla fine della democrazia rappresentativa. Ecco perché l’opposizione al governo illiberale non può essere fatta con la propaganda bensì con la difesa degli istituti liberali. E’ un’opposizione difficile, va da sé; ma è anche l’unica giacché chi si mette a imitare il M5S ha già perso in partenza.
Non tocca di certo a me fare opposizione politica. Ognuno faccia ciò che sa fare. Tuttavia, vi è un’opposizione culturale che è necessaria proprio perché in gioco non ci sono solo scelte di governo ma anche la stessa libertà. Vi sono momenti in cui il partito della cultura diventa il necessario momento pre-politico della politica che va sostenuto e schiarito. Posso indicare tre aspetti precisi.
Il vincolo di mandato. Il M5S di fatto lo ha già adottato con regole interne e la negazione del dissenso. I deputati 5 stelle sono muti e sordi. Ma il vincolo di mandato – che fa parte del “contratto” – non può essere introdotto perché è la fine del Parlamento: un Parlamento i cui parlamentari sono vincolati non è un Parlamento. Il parlamentare vincolato è un emissario al soldo di una forza politica che per il fatto stesso di militarizzare i suoi membri non è una forza politica nazionale. La nazione, infatti, dal Risorgimento in poi, o si coniuga con la libertà o tradisce se stessa. E’ questa la posizione liberale esattamente opposta a quella demagogica e fasciocomunista di Di Battista.
Il governo del popolo. Non esiste. Il governo del popolo è una dittatura che poggia su un’impostura – la volontà popolare – in cui s’instaura la dittatura sul popolo. Il governo del popolo condanna il popolo in nome del popolo. Il principio da far valere e schiarire qui è che ogni governo non può non essere un governo limitato giacché nessuno ha una conoscenza tale che giustifichi o legittimi un governo illimitato. Il governo del popolo vuole una democrazia illimitata che è una contraddizione in termini e un inganno economico, politico, morale.
Massa ed élite. I populisti vogliono che ci sia uno scontro tra masse ed élites perché hanno bisogno di indicare il nemico, ma un buon pensiero critico deve sostenere la semplice verità ossia che tutti siamo di volta in volta massa ed élite perché tutti ci distinguiamo, secondo necessità, per ciò che sappiamo fare. Il che è esattamente l’opposto del principio stupido fatto per gli stupidi che “uno vale uno”. Le élites senza masse sono vuote, le masse senza élites sono cieche: entrambe, separate – separate in se stesse – distruggono sé e la democrazia.
Gli intellettuali e la politica. Gli intellettuali italiani hanno nodi irrisolti con la loro infanzia. Credono per davvero che il compito del filosofo sia quello di farsi re e modellare una società sull’immagine della verità che poi è l’immagine di se stessi. In questo modo sono sempre pronti a dare cattivi esempi proprio perché non sanno dare buoni consigli. Sono sempre pronti a fare politica in nome della verità o in nome della giustizia o in nome dell’uguaglianza e così tradiscono verità, giustizia, uguaglianza. Quanti sono gli intellettuali, a tutti i livelli, che hanno giustificato e legittimato il M5S come il nuovo sole dell’avvenire? Si buttano. Poi, quando la nuova rivoluzione non si è sposata con la sinistra ma ha unito il suo estremismo agli altri estremisti nazionalisti non si sono ravveduti ma dichiarati delusi ritornando ancora una volta a coltivare i loro sogni infantili che sono gli incubi che abbiamo ora davanti. Gli intellettuali devono capire che quando fanno politica la fanno in quanto cittadini che scelgono liberamente e non in quanto intellettuali che pensano necessariamente. La cultura serve a garantire le libere scelte, non a negarle indicando l’unica santa scelta possibile. In questo senso il ruolo politico degli intellettuali è pre-politico in quanto apre il campo da gioco in cui tutti possiamo giocare e scegliere, vivere, sbagliare e perdonare.
L’esperimento chiude prima di tutto questa apertura.