di Giancristiano Desiderio
Che fa Dio quando non ha nulla a cui pensare? Riposa sul divano e siccome è Dio non può fare a meno di pensare e pensando crea il mondo. Che fa l’Intellettuale quando non ha niente da fare? Anche lui si stende sul divano e siccome crede di essere Dio immagina che con il suo pensiero possa creare il mondo. C’è un antidoto a tale delirio? Più di uno. Il lavoro. Il piacere. Ed Emil Cioran. Molte menti – diceva implacabilmente il funesto demiurgo – hanno scoperto l’Assoluto perché avevano un divano vicino a loro.
L’altro giorno mi scrive un tale e mi dice di aver scritto un libro e mi chiede se può mandarmelo. Manda pure, dai. Credevo mi arrivasse uno sbadiglio, invece mi è arrivato uno schiaffo. Perché il libro di Vincenzo Fiore – Emil Cioran. La filosofia come de-fascinazione e la scrittura come terapia, Nulla die – arriva diretto come il pensiero di Cioran che procedeva per aforismi e diceva che si tira un aforisma come si tira uno schiaffo, un cazzotto. Ho aperto il libro mentre mi angosciavo sulla pericolosa stupidità di Luigi Di Maio e mi è venuta incontro, come un pugno nello stomaco, la disperazione di Cioran che mi ha ricordato che a volte la salute dello spirito può dannare l’anima mentre la sua malattia può salvarla. I padreterni del momento promettono nientemeno che la vita beata ed economicamente inesauribile e di trasformare una nazione intera in un giardino felice ma quando saremo al culmine della disperazione vedremo che nessuna creatura può raggiungere il più alto grado di natura senza cessare di esistere. Naturalmente, senza curriculum.
Sembra strano ma Cioran, vale a dire uno che non credeva in niente e per niente e su niente ti può riconciliare non solo con l’inconveniente della nascita – ormai ci siamo e balliamo – ma perfino con gli uomini senza qualità che ti vogliono migliorare la qualità della vita come se la vita fosse un aperitivo o un antipasto. L’intellettuale rappresenta la disgrazia maggiore – dice Cioran che si batte come un leone contro i falsi profeti – e il professore è il simbolo del declino della filosofia, come è la figura della scomparsa della politica. Metti insieme filosofia e politica a avrai, se ti va bene, pasticci, se ti va male, violenza e sterminio. Ormai un po’ tutti salgono in cattedra ma non sanno l’essenziale, che la cattedra è la tomba della filosofia e della politica, la morte del pensiero vivente. E’ più facile trovare il classico ago in un pagliaio che un pensiero in cattedra. Il linguaggio filosofico professorale, come il linguaggio politico invasato, viene e conduce alla megalomania: ci si crea un mondo artificiale dove si è Dio. E il peggio è quando gli uomini senza qualità credono che si possa far accomodare Dio a capo di un governo. E’ un’impostura e l’impostore per eccellenza è Heidegger o Rousseau con quella sua contrattuale volontà generale che è una volontà tracotante. Non a caso delle sofisticherie linguistiche ciò che rimane è solo la parola nuda senza più significato giacché la parola, i paroloni son diventati protagonisti mentre avrebbero dovuto passare inosservati esprimendo concetti e indicando individualità.
L’uomo è questa tentazione continua di diventare Dio. Bastano un divano, una cattedra o una poltrona per attizzare il suo istinto ideologico. Deve essere una questione di culo, appena lo si poggia inizia il delirio di onnipotenza. State attenti quando qualcuno si siede, c’è sempre il rischio che non si voglia più alzare. In fondo, gli italiani, che sono in piedi e seduti, come diceva Longanesi, lo sanno bene ma hanno dimenticato che la cosa più importante, e più difficile, è stare in piedi sembrando di stare seduti. La cosa più ardua è abbattere gli idoli senza rimpiazzarli con altri idoli. Marx si batté contro le ideologie e creò l’Ideologia. Freud contrò i tabù dell’Io e creò l’ossessione sessuale, perfino Nietzsche che filosofò col martello costruì nuovi idoli. Purtroppo, funziona così. Tutto bene, almeno fino a quando il martello non ce lo danno in testa. Accade. I metafisici sono musicisti privi del dono musicale e gli statistici sono giocatori privi del dono del gioco. Oggi siamo in mano ai metafisici statistici che sono una specie di Dio sul divano che giocando con le nostre vite mi manda il sangue al cervello. Bisogna dominarsi, più che indignarsi, per schiarire il più possibile i limiti della nostra esperienza, disimparare le scemenze e apprendere che ci sono solo due grandi questioni: la libertà degli altri e la propria.