di Giancristiano Desiderio
Il governo della Lega a 5 stelle o delle Stelle leghiste non è ancora nato e già partorisce nuove figure comiche che si aggiungono alla ricca tradizione nazionale della commedia dell’arte. La neomaschera nasce non casualmente nell’ambito della commediografia di un comico come Beppe Grillo dal quale prende anche il nome: il grillo d’opposizione. In una rivoluzione, si sa, c’è tutto e il suo contrario: non solo il governo ma anche l’opposizione. Il grillo che non ci sta e si oppone è comico fino alla lacrime del riso perché dopo aver lavorato con impegno degno di miglior causa alla presa del potere da parte dei nuovi mostri pretende uscire dallo sfascismo in corso disconoscendo il figlio in nome di una superiore e malintesa (dagli altri) rivoluzione. Roba da Cospiratori e poeti, per dirla con il titolo del bellissimo libro di Diego Gabutti, dalla Comune di Parigi al Maggio 68 fino all’infantilismo informatico e di massa dei nostri giorni. Purtroppo, la parte del cospiratore e poeta, sempre alla ricerca come Rimbaud di una poesia per cambiare il mondo e cambiare la vita, a Benevento e dintorni è Nicola Sguera.
Il dramma personale di Nicola Sguera – ahimè, caro amico, qualche volta dovresti ascoltare almeno un po’ un vecchio arnese liberale come me, un sopravvissuto – è tragicomico. Dopo l’intesa contrattuale con la Lega e l’avventura della nascita del governo degli sfascisti, il grillino più votato a Benevento e ideologo della “rivoluzione gentile” ha annunciato la sua uscita dal M5S perché Matteo Salvini, la Lega e il loro elettorato sono mossi da pulsioni xenofobe e razziste. Il dramma è tragico e comico insieme perché è il frutto dell’impegno di quanti, come Nicola Sguera, hanno disprezzato e dileggiato tutte le riforme possibili – lavoro, pensioni, istituzioni – e hanno allevato e diffuso con convinzione la cultura illiberale del populismo. Il grillo d’opposizione è lo stesso grillo che ha alimentato, nutrito, spiegato, solleticato, sollecitato, predicato, diffuso il verbo di Casaleggio – peraltro un leghista della prima ora egli stesso – e ora che la ribellione delle masse educate al vaffanculo dall’algoritmo e dalla questione morale della disonesta onestà giunge a Palazzo Chigi con la sua cultura dello sfascio si meraviglia come i bambini che fanno oh. L’incontro tra i grillini e i leghisti non è una casualità ma una necessità o una possibilità reale, come dimostrano le cronache. Guardando il governo dello sfascio, l’ideologo di Benevento ha paura perché guarda se stesso in uno specchio e si ritrae ma la sua “uscita di sicurezza” è sbagliata perché non approda finalmente alla accettazione e difesa della democrazia rappresentativa bensì, ancora una volta, ad una rivoluzione tradita. Non è questione di coerenza o di incoerenza, giacché si può essere coerenti nell’errore che a volte è peggio di un crimine, per dirla con un principe di Benevento.
La “rivoluzione gentile” è un non-senso, come più volte ha detto su queste pagine anche Amerigo Ciervo, che pure sostiene con dignità le sue sconfitte politiche e si immalinconisce nella difesa anagrafica di un antifascismo partigiano. Qui c’è un problema irrisolto che in Nicola Sguera è ormai reso visibile fino alla trasparenza. Più volte l’ideologo della post-ideologia ci ha spiegato che destra e sinistra sono categorie del Novecento ma nella sua gentilezza rivoluzionaria c’è, invece, proprio il problema del secolo scorso – breve e sterminato -: il comunismo. La questione irrisolta con se stesso del comunismo fa sì che ogni volta il professor Sguera riproponga in salse diverse la solita minestra comunista creando mitologie e confusioni in cui passa dalla rivoluzione alla reazione, da sinistra a destra, in una cultura politica estrema che inevitabilmente finisce, come nel caso del governo della Lega a 5 stelle, per unire gli estremisti. La cultura politica moderna, che è al fondo della democrazia rappresentativa, non passa dalla rivoluzione alla reazione ma si oppone alla rivoluzione e alla reazione con un graduale riformismo che è prima di tutto difesa e diffusione della libertà come conquista e lavoro, anche e soprattutto personale.
La vicenda di Nicola Sguera ha qualcosa di positivo per la sinistra beneventana. Non per quella politica – che potrebbe anche essere ben rappresentata da Antonio Furno e Nunzio Castaldi, ma sì, dai – ma per quella intellettuale o intellettualoide e delle professioni che si nutre di miti che sono solo miti come la questione morale o la diversità berlingueriana o una liberazione dal fascismo che ignora la cultura totalitaria della chiesa comunista. Si accettino una buona volta la democrazia rappresentativa, il governo limitato, la libertà di mercato, la società aperta, il pluralismo; si accettino, cioè, senza retropensiero e senza rancore come se fossero istituti imposti con la forza e coperti da una cultura egemonica e ipocrita e infine mafiosa ma per ciò che effettivamente sono: il frutto politico del pensiero moderno. Si abbandoni lo sterile moralismo, la ridicola demonizzazione di Berlusconi e un certo estetismo morale che si compiace di una presunta morale della compassione mentre ciò che realmente conta è un’etica del lavoro in cui come tutti gli uomini di questa terra si lotta, ci si sporca, si pecca, si cade, ci si rialza e si erra nella comune umanità senza stupidi sogni di superiorità. Se Nicola Sguera facesse questo passo, vivendo fino in fondo il suo dramma che è prima culturale e solo poi politico, renderebbe un servigio alla sua Benevento che, forse, è ciò che più gli sta a cuore e la farebbe finita con gli astratti furori che ognuno si porta dentro come il portato del tempo e della terra.
Buon lavoro, con affetto