di Giancristiano Desiderio
Il Benevento esce dalla serie A senza piagnistei, senza recriminazioni, senza isterismi. Il Napoli esce dalla corsa scudetto – a meno di rivolgimenti dell’ultim’ora, sempre possibili – con le convulsioni, con la dietrologia, perfino con il giustizialismo. Ci manca poco che il sindaco di Napoli – che ha vaneggiato di “furti di Stato o di Calcio” e ha posto e postato la differenza “tra Noi e quelli che usurpano i nostri diritti” – dichiari guerra alla Juventus, a Torino e al Piemonte in nome del “popolo napoletano” e del Regno delle Due Sicilie. I beneventani sono i cugini poveri dei napoletani, sono i cafoni delle “province napoletane” che hanno sempre guardato a Napoli e al Napoli da Cané a Diego, da Vinicio a Pesaola, come un modello da imitare. Oggi, però, è meglio che siano i napoletani ad imitare la dignitosa passione calcistica dei beneventani e ad imparare che l’avversario da vincere se lo portano in petto: il risentimento.
Forse, sarebbe stato meglio dirlo subito, si sarebbero evitati equivoci: all’Allianz Stadium la squadra di Sarri giocò male. Il gol di Koulibaly è un gran gol e siccome è arrivato quando il Napoli non ci credeva più e la Juventus credeva di esser riuscita a non-perdere senza giocare è stata una di quelle esplosioni di gioia ed entusiasmo che fanno dimenticare tutto, soprattutto errori, mancanze, limiti. E il limite più evidente è che il gioco del Napoli è ormai sterile da molto tempo. Il gol del giocatore senegalese, che sembrava una bellissima pantera uscita dalla giungla, non è la conclusione di un’azione di gioco ma è arrivato su calcio piazzato. Il gioco del Napoli, infatti, è inconcludente nel senso letterale dell’avverbio: non conclude in porta. Il possesso palla arriva fino all’area di rigore per poi ritornare indietro. La macchina da gioco funziona fino alla trequarti, poi si inceppa. Per molto tempo Sarri è riuscito a mettere in campo una squadra senza centravanti ed è riuscito a far entrare in quell’assenza – come nel taglio di Fontana – ora Mertens, ora Callejon ma alla lunga le squadre avversarie hanno capito il gioco occupando l’assenza, ricucendo il taglio. Così, senza sbocchi, la macchina si è inceppata.
A Firenze è andata in scena la partita più brutta della stagione. Il Napoli ha perso anche l’unica cosa che le era rimasta: il possesso palla. Non avendo più il controllo del pallone, la squadra di Sarri priva di Koulibaly è andata in bambola e ha preso tre gol sempre dallo stesso giocatore. All’Artemio Franchi non solo è finito il campionato, ma forse anche il ciclo della squadra di Sarri. La quale – ed è questo il pregio da mettere in luce – ha giocato fino alla fine, toccando con i piedi i limiti delle sue possibilità, e ha perso in campo e non fuori dal campo. Sbagliano, sbagliano in modo grossolano quanti trascendono il campo e si collocano su un altro terreno parlando di due campionati: uno legale e uno illegale, uno degli onesti e uno dei ladri, uno dei calciatori e uno degli arbitri. Sbagliano quanti invece di guardare Fiorentina – Napoli fissano lo sguardo su Inter – Juventus e maledicono Orsato, Higuain e l’allegro saluto di Allegri con il “quarto uomo” Tagliavento. Il discutibilissimo arbitraggio di Orsato non giustifica in alcun modo la sconfitta del Napoli. La linea migliore è ancora quella di Sarri: “Io penso solo al campo, non voglio pensare a nient’altro. Pensiamo al campo senza secondi pensieri”.
Si guardi, dunque, al Benevento come un modello di buongusto. Certo, in gioco vi erano cose diverse: la salvezza e lo scudetto. Eppure, oggi il Benevento sarebbe ancora in serie A se non avesse perso tante partite a tempo ormai scaduto da un bel po’. Ma il beneventano non cerca alibi. In fondo, la prima regola per vincere è sempre la stessa: saper perdere.