di Giancristiano Desiderio
Che cos’è la borghesia italiana? Ne trovo un giudizio severo, ma serio e rigoroso, in alcune parole di Filippo Corridoni: “La borghesia italiana è l’ultima venuta sul campo della produzione; essa non ha tradizioni e non ha metodo; è povera e ci tiene a non rischiare il suo capitale che a colpo sicuro; è infingarda e lazzarona e non vuol faticare, non vuol lottare, non vuole avere fastidi; rinuncia alla gallina del domani per la coccia dell’uovo dell’oggi: e si mette in mano dello Stato. Questo la spolpa, l’assassina, ma la contenta”. Dove la chiave di lettura è nell’ultimo rigo: per non rischiare la borghesia si mette nelle mani dello Stato che la contenta, cioè la protegge, ma al contempo le fa pagare un prezzo alto perché la spolpa e alla fine la uccide, la uccide come borghesia. Cos’è, infatti, oggi la borghesia? Esiste la borghesia italiana o non siamo tutti dei sottoborghesi viventi e morenti in un grande blob gelatinoso nel quale speranzosi attendiamo che lo Stato ci tragga in salvo e così speranzosi moriamo infingardi e lazzaroni?
Già, ma intanto è sempre giusto il luogo manzoniano: Corridoni, chi era costui? Operaio figlio di operaio, una vita in fornace, quindi sindacalista ma dalla testa intelligente e calda e allora sindacalista rivoluzionario sulla scorta del genio di Georges Sorel, giornalista e agitatore, politico e pacifista ma anche soldato che finì la breve e intensa vita come l’iniziò: in una fornace, quella della Grande guerra, dove andò volontario, forse perché aveva un appuntamento con la morte nella “Trincea delle Frasche” il 23 ottobre 1915. Il suo corpo non venne mai ritrovato, fu rapito dagli dèi, come accadeva nell’antichità agli eroi caduti sul campo di battaglia. Ma la sua morte eroica sarà anche la sua condanna perché la retorica lo ucciderà poi una seconda e una terza e una quarta volta facendo di lui ora un precursore del fascismo ora un sindacalista tout-court. E, invece, il segreto di Filippo Corridoni è in quelle poche righe sulla borghesia il cui destino vorrebbe sottrarre all’illusione del protezionismo statale per farne un’occasione di libertà per quanti come lui, operai, contadini, proletari si affacciavano in massa alla finestra della storia e della vita nazionale. Ecco perché se volete introdurvi alla conoscenza della vita intensa di Corridoni fattasi tutta pensiero agitato e azione diretta nell’intento di tirar fuori il proletariato dal suo destino e dal suo pericolo dovete leggere il profilo che Gennaro Malgieri ne ha scritto: Corridoni (fergen, 10 euro). Sono esattamente 99 pagine, rapide come un lampo, scintillanti come una lama al sole.
La particolarità del saggio di Malgieri sta nella corsa che si fa nella vita spericolata di Corridoni prendendola, però, per il verso del pensiero. Il sindacalismo rivoluzionario è un’antica passione del mio amico Gennaro, una passione che si unisce alla storia d’Italia e alla ricostruzione di idee e uomini dimenticati, quando non volutamente dannati e abbandonati. Il sindacalismo rivoluzionario di Filippo Corridoni è nutrito della lezione di Sorel e il cuore del pensiero del grande francese era tutto nella tesi anti-marxista che il proletariato si dovesse organizzare autonomamente e, quindi, non dovesse dipendere da un partito politico. C’è bisogno di sottolineare l’importanza della posizione di Sorel? Se la coscienza di classe del proletariato dipende dal partito comunista, allora, lo stesso proletariato si prepara a partecipare ad una finta rivoluzione in cui sarà il partito a impossessarsi dello Stato e ad instaurare una dittatura sul proletariato. Quanto è accaduto nel Novecento.
Corridoni, il giovanissimo Corridoni, ne era consapevole e mentre era rinchiuso nel carcere di San Vittore scrisse Sindacalismo e Repubblica che riassume la sua concezione di sindacalismo rivoluzionario che ai nostri occhi si presenta oggi come una rivoluzione prima di tutto morale. Corridoni esponeva il suo “programma” in otto punti andando dalla federazione delle province (con assegnazione di attributi statali) alla nazione armata, dal libero scambio e la fine delle sovvenzioni statali alla scuola libera, dalla soppressione della polizia di Stato al referendum. Che cosa aveva capito il giovane sindacalista e soldato? Aveva capito che lo Stato borghese poteva cadere nelle mani di forze politiche e sindacali di massa ben organizzate e in quelle mani lo Stato, ormai ex borghese, sarebbe diventato un Leviatano. Ecco perché Corridoni nutrì una doppia “illusione”: da un lato di indebolire le forze statali e dall’altro di emancipare gli operai dalla dipendenza politica o di partito. Cento anni dopo queste idee escono ancora vive dalla fornace.