di Giancristiano Desiderio
Che ci faceva Charles Dickens a Sant’Agata dei Goti la notte dell’8 febbraio 1845? Resterà, se non salterà fuori un documento – una lettera, un appunto, una relazione -, sempre un mistero, sia pure un mistero parziale. Perché è il grande scrittore inglese, che al tempo aveva già pubblicato Oliver Twist, tanto per fare un esempio, che ci dice cosa facesse in quella fredda notte di febbraio – a febbraio a Sant’Agata fa sempre freddo – nel corso del suo “viaggio in Italia”: “… another night upon the road at St. Agata”, un’altra tappa notturna, a Sant’Agata”. Dove per Sant’Agata si deve intendere Sant’Agata dei Goti, come facciamo noi e come fa Stefano Manferlotti curando e introducendo Impressioni di Napoli che pubblica la sezione napoletana del diario italiano di Dickens Pictures from Italy (Colonnese editore). Infatti, dopo aver pernottato a Sant’Agata dei Goti con la famiglia, Dickens sarà il giorno dopo a Capua – “località pittoresca, ma per il viaggiatore moderno meno seducente di quanto deve esserlo stata per i pretoriani di Roma la città antica che recava lo stesso nome” – per entrare il 10 febbraio finalmente a Napoli “sferragliando con la carrozza giù per il fianco di una collina” mentre il Vesuvio è imbiancato di neve e il fumo vi stagna sopra in una densa nube.
Certo è che la visita di Charles Dickens a Sant’Agata non dovette passare inosservata. Non perché i santagatesi del tempo sapessero qualcosa del già popolare scrittore inglese ma più semplicemente perché Dickens giunse nella diocesi di Alfonso Maria de Liguori, già venerato come Santo da un pezzo, con la moglie Katherine Hogart, la cognata Georgina, la bellezza di cinque figli e due camerieri. La nutrita compagnia non potette passare sottosilenzio con i discoli, la carrozza, i bagagli e naturalmente quell’aria straniera che non passa ignota oggi, figurarsi alla metà dell’Ottocento. Non sappiamo dove albergarono e possiamo solo avanzare una pallida ipotesi che ha bisogno del conforto del riscontro: magari Charles Dickens fu ospite della famiglia Rainone o nel Palazzo al centro di Sant’Agata dei Goti, di fronte al monastero della suore liguorine, o nella villa neoclassica al di là del Ponte e del Martorano che era stata costruita proprio per ospitare e ricevere amici e viaggiatori come dice la scritta che ancora oggi si legge all’ingresso: “Acceda il vero amico” – accedat verus amicus – “stia lontano il falso” – fictus procul absit – “la villa non è un bosco” – haud nemus est villa – “può essere aperta a pochi” – paucis patere potest.
L’ipotesi non è campata in aria e ha una sua ragion d’essere. Lo scrittore inglese, infatti, visitò gli scavi archeologici di Pompei e di Ercolano e le meraviglie che già da qualche tempo, a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, vennero alla luce. In quel mentre, però, anche a Sant’Agata dei Goti si scavò e si trovò e furono proprio i Rainone a tirar su dalla madre terra una vera ricchezza di spirito e di bellezza greca e greco-campana che era conosciuta sia a Napoli sia a Londra tramite Sir William Hamilton, che era diplomatico di Sua Maestà Britannica alla corte del Regno di Napoli. Può darsi, dunque, che lo scrittore inglese, che per viaggiare in Italia e stendere i suoi reportage scelse di visitare luoghi “minori” ma alla sua sensibilità non meno interessanti ricchi e belli, giunse a Sant’Agata dei Goti proprio con lo scopo preciso di vedere quella che passerà poi alla storia, ma non alla vista, come la Collezione Rainone-Mustilli che conta oltre cinquecento pezzi di vasellame e statuette votive.
La congettura del perché della visita attende il riscontro ma la certezza della “tappa santagatese” di Charles Dickens è certa visto che è lo scrittore a informarci: “Un’altra tappa notturna, a Sant’Agata”. Il fatto poi che Dickens fece “tappa notturna” a Sant’Agata dei Goti non deve stupire giacché era alla ricerca di ciò che è oscuro, onirico, sepolcrale, gotico e il nome stesso del luogo dovette muovere la curiosità.