di Giancristiano Desiderio
Tra i tanti governi che sono stati ipotizzati – politico, istituzionale, balneare, di scopo – manca il ministero più utile di tutti: il non-governo. E’ trascorso, ormai, un bel po’ di tempo da quando si è votato – un mese – e con molta probabilità ne passerà il doppio o il triplo prima di avere un esecutivo o di rassegnarsi all’impossibilità di fare un governo e, dunque, ritornare a votare. In questo tempo indefinito non c’è un vero e proprio governo, eppure il mondo va avanti di suo secondo l’aurea regola che nessuno è indispensabile. Perché, dunque, non pensare che si può vivere e lavorare anche senza governo centrale? In fondo, è accaduto anche in altri paesi e con risultati soddisfacenti. Il non-governo ci offre una serie di vantaggi tutt’altro che trascurabili.
Il primo vantaggio è fin troppo evidente: senza il governo viene spazzata via la fisima del Programma che invece di essere una risorsa è una minaccia. Non sono, forse, vere e proprie minacce e attentati alla nostra vita e delle future generazioni il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero? Il non-governo ci mette al riparo da queste tegole che potrebbero cadere sulle nostre teste e ci salvaguarda da questa mania persecutoria del Programma che la politica ha sviluppato come modalità della propria mediocrità.
Il secondo vantaggio è la rivincita della realtà che è il vero contenuto sia della politica sia della vita di ogni giorno. Il non-governo ha come sua virtù la riapparizione della realtà dei fatti che di volta in volta possono essere affrontati dai dicasteri e dalle amministrazioni con l’obiettivo tipico della vita pratica: risolvere problemi reali.
Il terzo vantaggio del non-governo è la restituzione del Parlamento alla sua funzione legislativa e di controllo. E’ tutt’altro che un risultato di poco conto giacché oggi la funzione legislativa, sicuramente ipertrofica, è esercitata per quasi il 75 per cento dall’esecutivo con uno scambio di funzioni tra organi e poteri che è palesemente incostituzionale, oltre che altamente confusionale.
Il quarto vantaggio è una conseguenza del terzo: il non-governo per sua stessa natura ci tutela dal falso convincimento – che è insieme un vero alibi – che il governo possa governare su tutto e quindi intervenire in ogni questione con una legge risolutiva che non risolve nulla ma aggiunge danni e beffe. E’ questo, forse, l’aspetto più interessante del non-governo perché in un sol colpo si farebbe cadere la maschera sia al governo sia ai governati dimostrando che è dannosa la pretesa di governare ogni cosa e che è pelosa la richiesta del continuo intervento del governo dietro alla quale, invece, si cela solo l’interesse di scaricare su altri le cose da fare in autonomia.
Come si può facilmente intuire, i vantaggi del non-governo sono davvero tanti e considerevoli. Il non-governo sarebbe la migliore delle riforme che in un solo colpo e senza alcun capitolo di spesa ci libererebbe dal teatrino della politica in cui di volta in volta la maschera di turno si presenta come il salvatore della patria proponendo con i nostri soldi ricette miracolose che si rivelano dannose. Il non-governo avrebbe la virtù santa di lasciare le cose al loro posto – penso agli ospedali, alle scuole, ai trasporti, ai commerci – che non avendo interferenze altro da fare non avrebbero che conservare se stesse secondo la loro esperienza e il loro esercizio. Il non-governo eviterebbe le richieste di Grandi Riforme e ogni attività porrebbe a se stessa l’esigenza di riformarsi. La riforma migliore sarebbe quella del lavoro che col tempo non sarebbe più sottoposto al regime dei divieti, delle autorizzazioni, delle licenze e, per dirla con una frase celebre e sempre travisata, ognun farebbe secondo le sue esigenze e i suoi meriti. Il non-governo affamerebbe la macchina statale che, invece, il governo in base al principio dell’autoreferenzialità alimenta come un suo duplicato e duplicato di duplicato affamando i tassati. Infine, un vantaggio non di poco conto: il non-governo oltre a liberarci del sottogoverno ci libererebbe anche dei politologi che, fatta eccezione per rarissimi casi che smentiscono la loro stessa scienza, sono gli analisti dell’ovvio.
Dunque, se è vero che le crisi delle democrazie ci conducono verso situazioni di stallo in cui la stessa democrazia muore di troppa democrazia, ossia di un eccesso di procedure, non è vero che il non-governo sia la fine della vita civile e, anzi, a ben vedere è un modo per rinsanguare la stessa democrazia se è vero che la vita libera consiste prima di tutto nel non farsi eccessivamente governare. In fondo, è questo il tema eterno e inevitabile della libertà: solo pochi la preferiscono, i più sono alla ricerca di padroni. Di un governo.