di Giancristiano Desiderio
L’ingresso del M5S nelle istituzioni è vissuto dalle forze politiche classiche – partiti e stampa – con un doppio stato d’animo: da un lato si spera nella normalizzazione e dall’altro si teme un’operazione da cavallo di Troia. Il movimento della ditta di Casaleggio, Grillo e Di Maio è considerato una sorta di “invasione barbarica”, una specie di calata degli Hyksos e, insomma, una forza anti-sistema che ambirebbe a impadronirsi della democrazia rappresentativa e del suo sistema parlamentare per trasformarli in una democrazia diretta a propria immagine e somiglianza. Ma, come si sta già vedendo e come si vedrà sempre meglio, il M5S non sarà né normalizzato né introdurrà con sé un cavallo di Troia per la conquista della città nemica perché anche il movimento grillino ricade in piena regola nella categoria italianissima che ho definito “individualismo statalista”.
Luigi Di Maio ripete a ogni piè sospinto che l’incarico di formare un governo spetta a lui perché è lui, come leader del primo partito, che i cittadini hanno indicato come premier. In questo filo diretto tra Di Maio e “i cittadini” c’è qualcosa di più di un’ambizione personale: vi è un’intesa, tacita ma reale, tra il M5S e i suoi elettori nel ritenersi insieme i salvatori della patria e in forza di questa missione legittimata dal voto (insufficiente) eletti ed elettori ritengono di poter fare tutto. E la prima cosa che fanno occupano il potere in ogni sua forma (hanno iniziato accaparrandosi cose minime come le vicepresidenze di Camera e Senato e i posti dei questori) con la modalità non solo dei parvenu ma della forza pseudo rivoluzionaria che prende ciò che le spetta per diritto parlamentare, elettorale, morale, divino e lo toglie agli altri che non sono legittimati a nulla dal popolo e, anzi, sono a malapena e con sforzo titanico mal tollerati. Se a breve si rivotasse, il M5S aumenterebbe ancora, esattamente come è aumentato dal 2013 al 2018 nonostante le prove negative date nelle amministrazioni locali. La logica che c’è alla base, infatti, è quella del carro del vincitore che per definizione non è falsificabile. Si sbaglia se si pensa che questa prassi di occupazione avrà come conseguenza la normalizzazione dei Cinque Stelle perché l’occupazione anche se è tale gode del crisma della moralità e della purezza e dell’onestà che gli elettori riconoscono agli eletti del movimento in forza del mandato principale che consiste in questo: Noi siamo i buoni e abbiamo il compito di conquistare lo Stato per creare un blocco politico-sociale (che durerà finché durerà per poi crollare di schianto per l’abbandono della casa dei suoi abitanti-elettori come è sempre avvenuto in Italia dagli Stati pre-unitari fino ad oggi, passando per fascismo e repubblica).
Naturalmente, ogni fase ha le sue novità e le novità del momento riguardano la Casaleggio e associati, la piattaforma Rousseau, un sistema informatico che è più pervasivo delle segreterie di partito di un tempo ma nella sostanza il M5S è in linea con la tradizione dell’individualismo statalista in cui un’armata elettorale organizzata in un movimento più liquido e in un partito più solido ha il compito mitologico di conquistare lo Stato per usare forme e contenuti del potere a beneficio di un sistema politico, sociale e istituzionale in cui tra servi e padroni la stessa opposizione potrà essere cooptata e diventare socio di minoranza. Il M5S, dunque, non ha bisogno di essere normalizzato perché è espressione della tradizione italiana in cui il potere invece di essere limitato affinché non se ne abusi è, al contrario, distinto in buono e cattivo, onesto e disonesto e siccome Noi siamo buoni e Loro sono cattivi, Noi siamo onesti e Loro sono disonesti è giocoforza che il potere buono sia aumentato e se ne abusi e lo si corrompa perché tanto è un abuso e una corruzione fatte a fin di bene. Il potere è corrotto alla sua fonte proprio perché è rappresentato come onesto mentre il potere non è mai onesto perché è umano. Ma la teologia politica dei Cinque Stelle crede che per loro il peccato originale non valga e gli italiani, sempre pronti all’auto-assoluzione, sono ben lieti di farglielo credere.
La novità più consistente rispetto al passato è, però, un’altra ed è decisiva: i soldi. La morale dell’individualismo statalista è onerosa perché è dispendiosa. Chi paga? In passato, quando lo si poteva fare, la politica era fatta in deficit. Oggi non si può fare più non perché i debiti non si possano fare ma perché non avendo l’economia italiana la forza di pagarli nessuno, all’estero, è disposto a finanziarli. Il gioco oggi è più pericoloso che in passato: per mancanza di risorse, il rapporto tra servo e padrone può degenerare nell’esercizio di un potere statale puro e onesto che troppe volte evocato come soluzione di ogni problema diventa davvero risolutivo ma solo perché salva se stesso rivalendosi su chi, da servo volontario, avrebbe voluto usarlo.