di Giancristiano Desiderio
Se hai studiato Benedetto Croce fino a romperti l’osso del collo non puoi non esserti imbattuto in Giuseppe Galasso. Così è capitato a me che ho conosciuto prima l’opera e poi lo storico scomparso nella notte tra l’11 e il 12 febbraio. Il filosofo dello “storicismo assoluto” è stato il suo costante punto di riferimento, tanto che il principio storicista secondo il quale, come si legge ne La storia come pensiero e come azione, la realtà è storia, nient’altro che storia divenne il titolo di un suo libro – Nient’altro che storia – che rende giusta e felice la definizione che Andrea Giardina ha dato di Giuseppe Galasso: lo storico totale. E’ così: la storia – la storia di Napoli e del Mezzogiorno, la storia d’Italia e d’Europa – è stata la grande passione che ha dominato la vita “bella e terribile” di Galasso, secondo una sua definizione che riecheggia una celebre pagina del Maestro.
Croce e lo spirito del suo tempo è il suo libro più organico sul pensiero di Croce. Lo lessi subito, quando uscì nella sua prima edizione con Il Saggiatore nel 1990. Il professor Galasso vi era legato e lo considerava una sorta di biografia intellettuale e morale del maggior filosofo italiano del Novecento. E’ un testo voluminoso, forse troppo e considerandone l’aspetto un po’ dispersivo Salvatore Valitutti mi disse che se fosse stato più breve e asciutto avrebbe reso un maggior e più efficace servigio alla conoscenza della filosofia di Croce. C’è del vero in questo giudizio ma, forse, il carattere enciclopedico – totale – riguarda un po’ l’opera dello storico napoletano nel suo insieme. Per rendersene conto basta dare uno sguardo alla sua ricca produzione: dalla Storia del Regno di Napoli (6 volumi) alla Storia d’Europa (3 volumi) a L’Italia nuova. Per la storia del Risorgimento e dell’Italia unita (7 volumi) e le tante monografie e gli studi meridionalistici. E’ come se Galasso fosse stato, per certi versi, più crociano di Croce (il quale, da par suo, ebbe a scrivere una volta a Emilio Cecchi di non essere crociano).
Lo incontrai nel novembre del 2012 a Cerreto Sannita dove fummo invitati insieme in occasione dell’inaugurazione della Biblioteca del Sannio. Parlammo un po’ e naturalmente scambiammo qualche considerazione su Croce. Gli dissi di aver pronta una biografia di Croce e si offrì di leggerla in anteprima ma per ritardi editoriali non fu possibile e gli inviai il libro bello e fatto e mi scrisse: “Il suo libro avrà successo”. Non capii se voleva essere un complimento. Ricordavo cosa scrisse della Logica di Croce e della dibattuta questione degli pseudoconcetti e, allora, anche un po’ per provocarlo gli dissi che consideravo la Logica il capolavoro di Croce. Mi guardò con una certa ironia, “lei crede?” – mi disse e aggiunse per spiazzarmi: “io ritengo, invece, che il vero capolavoro di Croce sia l’Estetica”. Dove lo spiazzamento sta nel fatto che a sostenere il primato dell’Estetica sulla Logica era uno storico e non un critico letterario ma se considero che l’ultima opera di Croce curata da Galasso e pubblicata da Adelphi è il saggio La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte tutto torna e si tiene. Galasso, del resto, proprio sugli pseudoconcetti si distanziava da Croce nel tentativo di “superarlo” e nell’ottica che tutto è storia e nient’altro che storia considerava l’empirico e l’astratto forme di conoscenza con le quali integrava la storia con la sociologia della quale si giovò negli studi e nelle ricerche meridionalistiche. Si spinse oltre Croce fino a concepire con gli stessi scritti di Croce – Poeti e scrittori d’Italia – una storia della letteratura italiana che il filosofo non solo non scrisse ma riteneva non concepibile. Ne scrissi un’ampia recensione muovendo delle motivate critiche e lui mi usò la cortesia di scrivermi respingendo le osservazioni e ringraziandomi per l’attento lavoro. Il suo crocianesimo – per riprendere un noto luogo della filosofia contemporanea – è il tentativo di urbanizzare la provincia crociana restando fedele al Maestro. Non so se vi sia riuscito, perché il pensiero filosofico ha degli “zoccoli duri” che resistono alle interpretazioni; ma so che il suo lavoro storiografico è una manifestazione di cultura e civiltà degna di quella tradizione umanistica che è la radice della nostra libertà.