di Giancristiano Desiderio
Il voto del 4 marzo è già diventato questione di vita o di morte. Eppure mai come questa volta, il voto non deciderà nulla. E’ molto probabile che il 5 marzo non ci sarà un vincitore e così il capo dello Stato dovrà darsi da fare per capire se dal Parlamento potrà venir fuori una maggioranza capace di votare la fiducia ad un governo. La repubblica italiana – anche se si parla a vanvera di democrazia diretta – è parlamentare e la legge elettorale, che è di fatto proporzionale, rimette il risultato ai lavori del Parlamento. Lo stesso sistema politico non è più bipolare ma tripolare con la sinistra e la destra che si contendono il ruolo di comprimario del M5S. L’esistenza dei tre poli rende difficile la vittoria di uno dei tre e ci consegnerà una frammentazione parlamentare in cui due forze su tre si proclameranno vincitrici senza avere la maggioranza, mentre le loro due minoranze si escluderanno a vicenda e l’una non riconoscerà all’altra la legittimità di formare un governo con il terzo escluso. Il Parlamento, che già non gode di ottima salute, sarà ulteriormente screditato dalle stesse forze politiche che devono agire nella pratica parlamentare ma pensano con la logica anti-parlamentare. Insomma, prepariamoci al peggio.
Il potere italiano è inutile. Dovrebbe essere un male, ma non è detto che non sia un bene. Magari il peggio del peggio ce lo risparmiamo per insufficienza di forza. Il potere di veto è più forte del potere di voto. Il potere delle burocrazie giudiziarie e amministrative è più forte del potere politico. Quest’ultimo è perennemente sotto scacco perché non è stato in grado di riformarsi. La sua vera corruzione è politica, nel senso che non è né volpe né leone ma coglione. La delegittimazione reciproca delle forze politiche alla fine si è riversata sull’intero sistema: la Casta. Il nuovo che è avanzato è destinato a fare la stessa fine, se non peggio, perché è un effetto della stessa delegittimazione in cui il potere politico non è visto come un limitato moderno potere statale bensì come un dio in terra che promettendo la salvezza ci danna.
L’Italia è da molto tempo un paese immobile. I governi che avrebbero voluto fare non sono mai riusciti a fare granché. La Seconda repubblica ha ereditato dalla Prima il pesante fardello del debito pubblico e lo ha consegnato aumentato alla Terza: nel corso di vent’anni e passa il debito non ha mai fatto un passo indietro. In compenso la spesa pubblica è lievitata e l’economia è arretrata con una crisi che non ha eguali nella storia repubblicana. Siamo a tutti gli effetti l’unico paese del socialismo reale che è sopravvissuto al crollo del sistema sovietico ma ora che la bicicletta la dobbiamo spingere con le nostre gambe, senza dollari e senza rubli, non abbiamo più forze morali, prim’ancora che materiali, per pedalare.
La fuga dei cervelli è diventata nel tempo la fuga di studenti, di famiglie, di aziende e di un capitale umano che si rende conto che il nostro è un paese fermo in cui è possibile fare solo ciò che è autorizzato dalla stupidità. Gli italiani che non trovano una via d’uscita preferiscono un’uscita di sicurezza: l’estero.
Ho letto questa frase di Giustino Fortunato e la riporta per voi: “Sulla via sulla quale l’Italia s’è messa, non resta che piegare il capo e trepidi raccomandare sé e la Patria al dio ignoto”.