di Giancristiano Desiderio
La candidatura di Carmine Valentino, segretario provinciale del Pd e sindaco di Sant’Agata dei Goti, è un mezzo capolavoro politico. Glielo riconosciamo e gli diciamo in bocca al lupo. Se vincerà, il capolavoro sarà intero e, in tal caso, il verdetto accettato da amici e avversari; invece, se perderà toccherà a lui prendere atto della sconfitta, come non ha saputo fare in passato per poter giocare oggi la partita della vita.
Sant’Agata dei Goti è un paese che produce velleitarismi politici. Pur essendo il comune con il maggior numero di votanti e il centro storico con il più grande patrimonio d’arte non ha mai espresso un deputato o un senatore ed è ai margini dell’ economica e delle professioni, delle arti e dei mestieri. La candidatura del sindaco santagatese giunge in un momento difficile per il suo partito: il Pd è al minimo storico ma è pur sempre al governo e nel Sannio è percepito come una sorta di potente e mangiona Democrazia cristiana senza averne i meriti e il tempo che fu. Aspetto, quest’ultimo, ambivalente perché il Pd da un lato si avvantaggia del conveniente conformismo e dall’altro è visto non come il partito del rottamatore ma della Casta così ben accatastata che fa apparire perfino il clan Mastella come rivoluzionario. Si tratta di vedere quale dei due sentimenti prevarrà ma sembra di capire che il vento del secondo, rappresentato dai Cinque stelle, spiri più forte di pria. Gli italiani, che non amano criticare il capo e preferiscono blandirlo, sanno bene quando è giunto il momento di cambiare cavallo e abbattere il vecchio, usato e usurato leader.
La candidatura del segretario provinciale del Pd ha un difetto e un pregio. Il primo è nel dissesto economico e finanziario del comune santagatese, nella crisi del paese in cui chiudono i negozi e si vendono le case, nella gestione dispotica e propagandistica di un partito provinciale concepito come mero strumento di un potere inutile. In pratica, un fallimento gratificato con la candidatura.
Il secondo (il pregio) è rappresentato dal collegio maggioritario uninominale. Forse, si tratta di una scelta obbligata – o prendere o lasciare – ma è pur sempre una scelta e ha dalla sua il rischio, il coraggio o la baldanza, il gioco e quindi va apprezzata. In tanti, compreso il leader locale del Pd, il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, sono candidati nella sezione proporzionale di una legge elettorale degna della repubblica delle banane e hanno così l’elezione assicurata. Il collegio maggioritario uninominale, affrontato a viso aperto senza “paracadute”, ha in sé il senso della sfida e della messa in discussione che sono il sale della vita democratica senza il quale la libertà si instupidisce. Qui il candidato del Pd si gioca tutto e da giocatore, qual è, non può non sapere che lotta controvento. Il che, se dovesse vincere, darebbe più gusto e legittimità alla vittoria, ma anche serietà ad una sconfitta meritevole dell’onore delle armi.