“Ma come parla? Come parla, come parla?” e ancora “chi parla male pensa male”. E’ Michele Apicella, alter ego di Nanni Moretti, a sbraitare stupito dal linguaggio, infarcito di termini inglesi e frasi fatte, di una reporter che tenta di intervistarlo, in una celebre sequenza di Palombella Rossa.
Mi è tornato in mente l’altro giorno al supermercato mentre vagavo, senza dubbio per errore, nella corsia – sostantivo non casuale scelto per alludere opportunamente al clima ospedaliero – dei prodotti salutistici.
Controllavo, combattendo una guerriglia interiore con ben lardellati sensi di colpa, che la tensione prodotta dalla pesante protuberanza della pancia non avesse fiondato via dal pantalone l’essenziale ultimo bottone sopravvissuto, quando gli occhi restavano rapiti da belle stellette bionde contornate da accattivanti nocciole parzialmente sgusciate. L’illustrazione spiccava su una busta brillante di setosa carta plasticata a fondo oro, sotto la scritta “biscotti avena e nocciole”.
L’immagine patinata, i colori, i biscotti, l’idea dell’azzeccato abbinamento cereale – frutta secca, la suggestione di un dolce suadente e non stucchevole, mi seducevano e astraevano dal contesto, inducendomi ad afferrare il pacco, dimentico che ero in “corsia” sanitaria. La forza tentatrice del pacco era, del resto, talmente ben studiata da farlo risultare irresistibile per un goloso pure se fosse esposto nel settore “cibo per cani”.
Pochi secondi dopo aver delicatamente adagiato la confezione nel carrello, con ritrovata lucidità, leggevo: “senza lieviti – senza uova – senza latte – senza zucchero bianco”. E’ qui che Apicella mi tornava in mente con le sue nevrotiche querele che pensavo di completare così: “chi parla male pensa male” e mangia male.
Il dizionario Sabatini Colletti definisce il biscotto “piccolo dolce secco e croccante di varie forme che ha come ingredienti farina, zucchero, burro, uova con aggiunta di vari aromi”, Treccani, poi, lo descrive come un “dolce composto di farina, zucchero e grassi, con eventuale aggiunta di uova e di aromatizzanti”.
L’opinione partigiana di una lingua golosa è, dunque, supportata dalla ricerca dei linguisti. Che razza di biscotti, allora, sono quelli senza lieviti, senza grassi, senza zucchero? Son biscotti senza tutto!
Qualche dizionario, invero, ricorda l’esistenza desueta di “biscotti medicinali, contenenti sostanze medicamentose (purgative, vermifughe, ecc.)”. Ecco allora che torniamo alla corsia e all’ospedale, la scritta sulla busta (Biscotti avena e nocciole) è ingannevole e impreciso è il reparto, si tratta di prodotti da parafarmacia, magari da acquistare previa esibizione di ricetta medica.
Tra le varie definizioni di biscotto rinvenibili, ne ho trovata una che ho ritenuto particolarmente calzante dopo l’assaggio cui arditamente mi sono sottoposto, mettendo a rischio il tasso glicemico e il carico lipidico del mio organismo: “terraglia di prima cottura”. I biscotti senza tutto, all’avena avena e nocciole, sono terraglia. Un paio di bicchieri di buon rosso son necessari per farli scendere e ripulire le pareti esofagee dai granelli di terraglia fastidiosamente appiccicatisi.
Quali tempi bui viviamo, quali angherie vengono ingannevolmente somministrate, quali penitenze i palati giusti devono subire da chi vuole imporre la colpa del mangiare e, dopo secoli di sopravvivenza, pretende di nutrirci con salvifici biscotti senza tutto, hamburger senza carne, formaggi senza latte, latte senza latte, birra senza alcol e via discorrendo.
Dovremmo forse vivere una vita senza tutto? Usciamo dalla corsia e tuffiamoci nelle pastarelle gialle di uova, friabili di burro, dorate, croccanti e dolci di zucchero.