“È venuto il tempo di reagire contro una situazione che prolungandosi rischia di abbassare l’uomo al rango dei ruminanti. Noi vogliamo una cucina adeguata alla comodità della vita moderna e delle ultime concezioni della scienza”. Sembra lo sfogo di un cuoco intellettuale e rivoluzionario del terzo millennio, stanco della litania della tradizione. “Noi aspettiamo ancora una vivanda veramente nuova”. Pare stanco il nostro chef avanguardista anche dell’altro refrain idiota eruttante dalle bocche stantie aperte tra gote paffute e sudate sotto toque blanche afflosciate.
In realtà i proclami fanno parte del primo Manifesto della cucina futurista apparso il 1 gennaio 1913 sulla rivista satirica francese Fantasio. Lo elaborò Jules Maincave, ventitreenne chef geniale morto sul campo di battaglia della prima guerra mondiale giusto dopo aver impressionato il generale Gouraud con la sua costoletta d’attacco ed altre preparazioni a comporre un pranzo molto gradito “cucinato col fuoco stesso del nemico”.
Dopo Maincave, Irba Massaia Futurista, probabile alter ego della poetessa Irene Bazzi, pubblicò un suo manifesto della cucina futurista sotto il titolo Culinaria Futurista, pubblicato nell’agosto del 1920 sul giornale “Roma futurista”. “Sulla tavola apparecchiata il colore il colore deve prendere il primo posto. Vogliamo distruggere la monotonia del pesce in bianco servito sul piatto bianco, delle vivande che sembrano annoiarsi sull’uniformità dei piatti pedantescamente uguali. La nostra tavola deve ridere di gioia nella diversità dei rosso-giallo-verdi-azzurro dei piatti grandi-piccoli-ovali-tondi, che sembreranno ballare una sinfonia gustosa…”.
Filippo Tommaso Marinetti aveva ispirato con i suoi manifesti le enunciazioni di Maincave, con il quale pare aprì un ristorante sulla Rive Gauche, e della Massaia Irba e nel 1930 pubblicò la sua elaborazione della cucina futurista. “Antipraticamente noi futuristi trascuriamo l’esempio e il monito della tradizione per inventare ad ogni costo un NUOVO giudicato da tutti pazzesco.” Marinetti propone una cucina che coinvolga tutti i sensi in un’esperienza esaustiva e coinvolgente. Per questo la tavola predisposta ad esperienze tattili e olfattive, arrivando anche a statuire l’abbandono delle posate si che il convitato possa vivere un’esperienza prelabiale prendendo il cibo con le mani.
La cucina futurista di Marinetti si propone “la creazione di bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno nella letteratura. Un dato boccone potrà riassumere un’intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio in Estremo Oriente.”
L’obiettivo del nuovo corso è quello di rendere la razza italica agile e dinamico. Così Marinetti mette al bando la pastasciutta, rea di indurre fiacchezza, pessimismo, inattività e neutralismo. La prescrizione marinettiana sulla pasta suscitò una prevedibile discussione, dai toni ironici e saggi al contempo.
Massimo Bontempelli, scrittore poliedrico, fu uno degli intellettuali che più si spese contro la messa al bando statuita dal fondatore dell’avanguardia artistica: “ Lo sai, caro Marinetti, che Giovan Battista Vico era un gran mangiatore di pasta asciutta? Se tu lo avessi nutrito di cibi più leggiadri, e se ciò avesse avuto influsso sul suo spirito, ne sarebbe nato qualcosa di più veloce che “La scienza nuova”. Se è così, rendo grazie ai quintali di pasta asciutte asciutte che lui dové smaltire …”
I futuristi liguri riuniti nel Gruppo Futurista Sintesi di Genova non ebbe la forza del Bontempelli per contestare tout court l’attacco alla pasta asciutta e si spese in una supplica a Marinetti per esimere i ravioli dallo sterminio: “ noi futuristi liguri, mentre schieriamo tutte le nostre forze accanto alle Vostre contro maccheroni, vermicelli, spaghetti e tortellini, abbiamo l’ardire di indizzarVi la presente supplica perché venga pubblicamente dichiarata leale neutralità verso i ravioli, per i quali nutriamo profonde simpatie e d abbiamo doveri di riconoscenza e di amicizia.”
A lungo ostracizzato per essere finito in collusione col fascismo, l’avanguardia Futurista propose anche per l’arte culinaria obiettivi, metodi, concetti di straordinario valore, visione, obiettivi, pratiche che tutt’oggi si presentano attuali laddove si ritenga necessario strappare il manto di ipocrisia e banalità che attecchisce nelle scuole alberghiere, nelle cucine, nelle parole degli chef, negli scritti della comunicazione e del giornalismo enogastronomico.