di Gennaro Malgieri
La vita sarebbe più deprimente di quella che normalmente è se non fosse attraversata da entusiasmi irragionevoli che contribuiscono comunque a renderla di tanto in tanto gradevole. Per quanto ingannevoli li si possa considerare, a posteriori ovviamente, sono necessari non foss’altro che per farci tirare il fiato. Sicché quando la realtà si impone richiamandoci alla “fatica di vivere” – vivere non est necesse navigare necesse est – gli entusiasmi feriti non dovrebbero prostrarci, ma farci sorridere di noi stessi che li abbiamo coltivati, fatti crescere, coccolati ed infine salutati come una persona cara che si allontana.
Chi di noi non ha gioito ed immaginato fortune luminose quando agli inizi dello scorso giugno ci scoprimmo depositari di un tesoro che non sospettavamo fosse negli anditi più riposti delle nostre coscienze di sanniti operosi e severi? Era la leggerezza del calcio. Ne abbiamo tratto un grande beneficio fino a credere che esso avrebbe segnato (ed alleggerito) le giornate non proprio facili della nostra comunità. Abbiamo poi scoperto con il Benevento in serie A che gli entusiasmi fanno soffrire, incrudeliscono quando si spengono, attivano negatività e fanno diventare passivi perfino i più reattivi. Nel Sannio non lo sapevamo che i sogni muoiono alba. Era tempo che lo sperimentassimo.
Ed il calcio – molto più che uno sport come gli altri – ci ha dato una mano. Ridestandoci dal sonno della ragione o, se si preferisce, dalla lunga sbornia durata un’intera estate, torniamo mestamente con i piedi sulla terra e guardiamo in faccia all’esile speranza frantumatasi dopo i maledetti/benedetti play off di fine primavera. Già, proprio allora, quando le endorfine sopravanzavano le possibilità di controllarle e ci illudevamo che la cavalcata del Benevento nella massima divisione sarebbe stata, per quanto difficile, comunque priva di traumi. Vittime dell’effetto analgesico (proprio delle endorfine, appunto) è come se avessimo fatto un carico di morfina al punto di addormentarci o quasi sul confortevole cuscino imbottito di certezze tra le quali la sostenibile resistenza di una formazione che – unica nella storia calcistica italiana, passata in un solo anno dalla Lega Pro (ma chiamiamola serie C, per favore) alla serie A, dai confronti con le “provinciali” a quelli con le nobili e aristocratiche rappresentative – pur con tutti i limiti di una neofita avrebbe fatto la sua figura davanti al proprio pubblico non meno che al cospetto di curiosi tifosi avversari che l’avrebbero scrutata con malcelato sussiego per poi impaurirsi dinnanzi alla furia barbara di eredi della Longobardia minore, scomparsi dalla storia ed improvvisamente riapparsi con tutto il loro carico di risentimenti, di paure, di vittimismo che avrebbero dovuto sconvolgere assetti consolidati.
Diciamoci la verità: davvero abbiamo creduto, per alcuni mesi (complice l’asfissiante calura) che l’avventura del Benevento sarebbe stata apportatrice di benefici mai visti dalle nostre parti. Il calcio come redenzione, insomma. Un’idea della quale si sono fatti banditori un po’ tutti alla fine illudendo perfino i più scettici. Poi ci siamo svegliati. E faticosamente abbiamo realizzato che se è vero che il calcio non è una scienza, neppure è un giocattolino mediante il quale si possono coltivare progetti (ben altro da un sogno, dunque) di lunga durata soprattutto se mancano i presupposti.
Beninteso, nessuno vuole demonizzare l’entusiasmo, figuriamoci quando è il prodotto di una fabbrica come quella del football. Ma l’orizzonte deve essere chiaro, perfino – ed arrivo alla bestemmia, probabilmente – quando lo choc da realizzazione compiuta si tramuta nella credenza che nulla e nessuno potrà cambiare il corso degli eventi. È probabile che la caduta precoce del Benevento faccia rinsavire e, dunque, riportare nel giusto ambito una indiscutibile affermazione (che rimarrà comunque storica) senza caricarla di significati ed aspettative più ambiziose di quelle che è lecito immaginare e perseguire.
In altri termini, se le “magnifiche sorti e progressive” del Benevento fossero state davvero perseguite, ma sarebbero state necessarie risorse che non si sono viste (lasciare un imprenditore solo non mi è sembrato lungimirante), non si troverebbe con zero punti dopo cinque giornate di campionato. La squadra, fatta da ragazzi di buona volontà attrezzati per giocare un decoroso campionato di B ed un ottimo di C, avrebbe dovuto avere ben altri valori che indiscutibilmente costano maledettamente. Non prendiamocela con nessuno, dunque. Tantomeno con il generoso presidente Vigorito, un galantuomo di antico stampo che ha messo a disposizione il suo personalissimo portafogli per un’impresa che sarà legata per sempre al suo nome. E neppure con l’allenatore Baroni, la cui intelligenza tattica non si discute, unitamente all’umiltà che continua a caratterizzarlo (me lo ricordo alla stessa maniera giocatore del Napoli: non si montò la testa quando il suo gol alla Lazio, su assist di Maradona, diede la matematica certezza del secondo scudetto ai partenopei).
Prendiamocela tutti con noi stessi, dunque, che abbiamo voluto vedere un film mai girato. Se il Benevento , la città di Benevento ed il Sannio avranno questa consapevolezza un altro “miracolo” a maggio sarà possibile.
I giallorossi sono iscritti ad un altro campionato, insomma. Non è quello incominciato alla fine di agosto. Soltanto adesso sta per iniziare. Precisamente domenica 24 settembre alle ore 15, a Crotone. Quel che verrà dopo sarà figlio di questo primo decisivo appuntamento.