di Guido Bianchini
L’incombere del turno infrasettimanale non mi ha dato il tempo di scrivere con la dovuta calma, al netto dell’amarezza per l’umiliazione subita, della trasferta di Napoli che subito la Roma di Di Francesco ha rincarato la dose. In totale sono 10 gol in neanche quattro giorni e le azioni degne di nota in 180 minuti si contano sulle dita di una mano, senza neanche usarle tutte.
Dati che lasciano poco spazio a qualsiasi commento, fosse di biasimo, condanna o giustificazione a spada tratta. Il tifoso è tale perché vive di entusiasmi o di depressioni cosmiche ed è difficile essere distaccati e lucidi, soprattutto dopo la sbornia di un doppio salto di categoria. Capacità che avemmo dovuto tirare fuori proprio dopo il fatidico 8 giugno, ma siamo stati troppo accecati dalla bellezza insperata del dove andavamo, per preoccuparci del come ci stavamo andando. La società e i giocatori artefici del miracolo sono stati avvolti, anche a giusta ragione, da un’aurea messianica da salvatori della patria che ci ha fatto sembrare tutto perfetto, senza che nessun dubbio di inadeguatezza ci sfiorasse un minimo. Siamo il Benevento, l’invincibile armata giallorossa con il nostro condottiero eolico dal portafoglio smisurato e nessuno potrà fermarci. È mancata la capacità di percepire l’abissalità del secondo salto. Se il passaggio, anch’esso epocale, dalla C alla B è stato percepito come una cavalcata trionfale della matricola che stupisce e diventa improvvisamente grande, andando ben oltre ogni più rosea aspettativa, non poteva essere lo stesso per il secondo salto. Per paura di sminuire l’impresa non ci siamo resi conto che il gap dalla terza alla seconda serie è minimo e si colma, come è stato fatto efficacemente, con qualche elemento di categoria e se le prime della classe non si dimostrano all’altezza del ruolo, ce la si può giocare alla pari. La A è un altro mondo, un altro pianeta con logiche diverse e la mentalità da C nella gestione societaria e del mercato è anacronistica. Bisogna presentarsi in punta di piedi e chiedere aiuto a chi questo mondo lo abita da anni (da un Ds, fino ai giocatori di comprovata esperienza o a talenti pescati da chi ha strutture di scouting e non le improvvisa). Se si vuole fare la A con un approccio alla Sordi, da presidentissimo del Borgorosso, patron padrone che non fa dell’umiltà la sua prerogativa, cose se stessimo ancora in C e bastasse un nome e un fatturato per farsi aprire le porte , allora non si ha consapevolezza di dove si è arrivati e bisogna rendersene conto prima che la porta d’entrata diventi d’uscita.
Ecco perché nel rapido Napoli-Roma che ci ha investito così brutalmente ci può essere un qualcosa di molto positivo per tutti. Un totale di 10 schiaffi in faccia per ridestarci dalla sbornia e farci rendere conto che il tempo del sogno è finito e bisogna fare i conti con la dura realtà della massima serie e con queste abissali differenze in campo tra le prime della classe, quelli che vanno bene, ma non eccellono, quelli che vanno per la sufficienza e quelli che sgomitano per non essere bocciati a fine anno. Forse le prime tre partite, comunque perse, avevano illuso i più che il sogno non fosse finito, perché come sanno tutti i docenti, all’inizio dell’anno pure i lottatori per la non bocciatura sembrano più volenterosi e gli altri più svogliati perché più lenti a carburare, ma alla lunga le distanze si evidenziano e le sorprese, sia in negativo che in positivo sono ben poche.
Senza lasciarsi prendere dal panico, ma senza cedere alle fantasie di grandezza da fede cieca, bisognerebbe tracciare una linea immaginaria sulla classifica che va dall’ultimo al quinto/quartultimo posto e fissare lì le nostre colonne d’Ercole. Dobbiamo essere più medievali e meno moderni, perché non abbiamo il compito di scoprire nuovi mondi, viste le ampie difficoltà a stare in questo, già troppo nuovo per noi. Sulle carte geografiche antiche l’ignoto, ciò che non era possibile e alla portata era segnato con: hic sunt leones . Anche a costo di tradire la natura gladiatoria del popolo sannita, lasciamo stare i leoni, guardiamoci il loro spettacolo quando vengono al Vigorito e cerchiamo con scaltrezza di fare la parte dei leoni solo con quelle quattro/cinque squadre ovine alla nostra portata e se malauguratamente saremo noi i più ovini di tutti, torneremo senza troppi drammi in posti meno proibitivi, dove si può essere re con poco. Se vogliamo continuare questa favola nel paese di smeraldo chiamato A, e fare finta di essere leoni, al massimo possiamo essere come quello del Mago di Oz, che non brillava per coraggio, ma almeno applicava la nobile arte di misurasi la palla.